Il ruolo sociale del museo e il tema dell’accessibilità nei confronti di tutti i pubblici, in particolare di quelli che fanno maggior fatica ad entrarvi “spontaneamente”, sono stati al centro del nostro operare nel corso degli anni, con un grado sempre maggiore di consapevolezza da parte di tutto lo staff del Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna.
Una delle chiavi interpretative che ci ha fatto muovere in tale direzione è strettamente connessa al concetto di resilienza.
Il termine, che attiene alla fisica dei materiali, indica la capacità di un corpo di resistere ad un urto senza rompersi. In questo evento diversi fattori hanno un ruolo determinante: il tipo di materiale, la temperatura (temperatura più bassa, minore resilienza), l’ambiente in cui avviene l’urto, lesioni precedenti etc.
Il concetto di resilienza si è fatto strada nella letteratura scientifica delle scienze umane recentemente, alla fine degli anni ottanta, e solo a partire dagli anni novanta all’interno della ricerca psicologica (1). In quest’ultimo ambito, uno dei principali studiosi è Boris Cyrulnik, psichiatra all’università di Tolone.
Esaminando le traiettorie biografiche di uomini, donne e bambini al centro di storie di sofferenza, avversità e dolore in diverse parti del mondo, Cyrulnik – egli stesso “protagonista” di un’infanzia devastata dalla guerra e dalla deportazione dei genitori – ne ha messo in luce la capacità di trasformarsi «da spaventapasseri malinconici in persone luminose e vitali», rimarginando le proprie ferite (2).
Non è un solo fattore a determinare la “salvezza” di queste persone, quatto piuttosto un insieme di elementi che consentono di riprendere il percorso di vita interrotto: l’ambiente in cui un individuo è vissuto, il temperamento di ciascuno, contribuiscono alle possibilità di riuscita individuali. Secondo lo psichiatra francese, uno dei ruoli fondamentali è giocato dall’ambiente sociale.
Come sottolinea Cyrulnik, dobbiamo ragionare in termini di costellazioni di determinanti: se una stella maggiore si spegne (una madre che muore, una malattia che isola l’individuo, la fuga da un paese in guerra, i genitori che si separano…), restano nella costellazione altre stelle, altre determinanti, altri “tutori di resilienza”: sono la mano tesa che permette l’incontro che risveglia (3).
Pensare che il museo possa rappresentare una di queste stelle nella costellazione che sostiene persone in difficoltà, significa certamente attribuirsi un ruolo importante nel mondo educativo di oggi. Significa anche accettare una sfida di azione secondo quella che Canevaro (4) definisce “pedagogia della contemporaneità”, dove il quotidiano e la società in divenire si intersecano senza sosta, chiedendo a chi lavora nella scuola, nei musei, nelle biblioteche, scelte educative e didattiche consapevoli e audaci, proprio per alimentare quel “tessuto connettivo vivente” di cui siamo parte.
Proporre con tale consapevolezza esperienze artistiche, scientifiche, culturali al di fuori della famiglia può rappresentare un’ancora di salvezza per delle persone in difficoltà, ma può anche contribuire a una buona crescita di chi è stato più fortunato.
Attivare quindi percorsi di accessibilità per tutti i pubblici, facendo lo sforzo di mettere in gioco i saperi esperti presenti all’interno della realtà museale, consentendo letture plurime delle collezioni che studiamo, conserviamo ed esponiamo, dovrebbe costituire una delle finalità di tutti i musei, indipendentemente dalle loro dimensioni e dalle risorse disponibili.
«Quando il trauma proietta un’ombra, i racconti del contesto circostante possono trasformarla in rospi o principesse. È la forza dei racconti, la difficile speranza della resilienza» (5).
Nell’ultimo progetto realizzato dal Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna in collaborazione con la Cooperativa “Una casa per l’uomo” e il Centro Territoriale Permanente – Direzione Didattica II° circolo di Montebelluna, intitolato “Pezzi di Storie”, il nostro gruppo di lavoro ha potuto constatare il significato che le attività svolte hanno assunto agli occhi e nel vissuto di alcuni partecipanti in particolare.
“Pezzi di Storie” ha coinvolto studenti in Patto Integrato di età compresa tra i 17 e i 20 anni, recentemente giunti in Italia con traiettorie biografiche e storie famigliari diverse, alcuni con scarsissima competenza linguistica italiana. Il percorso articolato tra Museo e scuola, della durata di un anno intero, ha consentito anche ad alcuni dei partecipanti particolarmente in difficoltà dal punto di vista dell’inserimento sociale nella nuova realtà montebellunese di esprimere se stessi in forme inedite e partecipative, attivando modalità di comunicazione non consuete. La lunga durata del progetto, e quindi la possibilità di percepire il Museo come ambiente famigliare e accessibile e gli educatori museali come riferimenti “altri” rispetto al mondo della scuola, ha costituito un punto di forza determinante, attivando una vera e propria relazione, difficilmente sperimentabile in percorsi di più breve durata. L’equipe psico-pedagogica che seguiva uno di questi partecipanti ha sottolineato come l’esperienza museale si sia rivelata stimolante e significativa, confermando la rilevanza sociale insita nel ruolo del museo, tutt’ora spesso sottostimata dagli stessi addetti ai lavori.
Tra i partecipanti all’esperienza di “Pezzi di Storie” vi era anche un gruppo di socializzazione di donne migranti, alcune delle quali analfabete nella lingua di origine: attraverso la narrazione di sé sollecitata dall’“adozione” di alcuni reperti delle collezioni, il progetto ha permesso loro l’espressione linguistica in lingua italiana e la lettura dei testi prodotti. Questo passaggio nell’acquisizione di nuove competenze, reso concreto e valorizzato dal Museo, è stato un riconoscimento importante per alcune delle partecipanti, aumentando la loro autostima, aiutandole a recuperare conoscenze pregresse, dando spazio e dignità al racconto personale.
Il museo, luogo in cui le storie si depositano, prendono vita, generano altre storie, è uno dei luoghi privilegiati del racconto individuale e collettivo, ma anche dell’ascolto, e proprio per questo pensarsi come stella può essere un modo quanto mai contemporaneo di interpretare la realtà museale.
Note
(1) Uno dei principali studi condotti in Italia sul concetto di resilienza ed educazione è quello di P. Milani e M. Ius, Sotto un cielo di stelle. Educazione, bambini e resilienza, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2010. L’analisi delle traiettorie biografiche di individui che, bambini durante la Shoa, sono riusciti da adulti a superare il trauma della guerra, fornisce una prospettiva utile per chi lavora in contesti educativi con persone vittime di traumi.
(2) B. Cyrulnik, Autobiografia di uno spaventapasseri, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009.
(3) P. Milani, M. Ius, Sotto un cielo di stelle cit.
(4) A. Canevaro, A. Chieregatti, La relazione d’aiuto, Carocci, Roma, 1999.
(5) B. Cyrulnik, Parlare d’amore sull’orlo dell’abisso, Frassinelli, Milano, 2005, p. 213.
Data di pubblicazione della testimonianza: 2011