Il numero monografico di Economia della Cultura (rivista trimestrale dell’Associazione per l’Economia della Cultura), dedicato alla “Convenzione Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali” del 2005, raccoglie contributi sulle origini, gli aspetti problematici, le prospettive di questo importante strumento di intervento a sostegno del pluralismo delle culture e dell’integrazione culturale e sociale.
Come osserva la curatrice del numero, Carla Bodo, «il recepimento a pieno titolo nel nostro ordinamento giuridico di un Trattato così innovativo – che sancisce per la prima volta quali principi di diritto internazionale il riconoscimento e la promozione della diversità culturale, il carattere peculiare dei beni e dei servizi culturali, la legittimità delle politiche culturali pubbliche, l’integrazione della cultura nelle politiche di sviluppo sostenibile – non ha avuto forse la risonanza che avrebbe meritato. Anche il dibattito sollevato dalle complesse problematiche poste dall’attuazione della Convenzione – che dovrebbe presto entrare nel vivo, ma che rischia di subire le conseguenze negative di un sovraffollamento di consensi e di interpretazioni corporative-riduttive – resta alquanto confinato nella dimensione angusta della cerchia degli addetti ai lavori». Ed è proprio in una prospettiva di allargamento di questo dibattito alla società civile nel suo complesso che l’Associazione per l’Economia della Cultura ha promosso la pubblicazione di questo numero monografico della rivista.
Un articolo in particolare è dedicato alla sfida di «generare espressioni culturali condivise» (art. 4 della Convenzione) nei musei, che richiede a queste istituzioni, “conservatrici” per eccellenza, una disponibilità a sviluppare nuovi punti di vista sul concetto di “patrimonio”.
L’articolo (cfr. Simona Bodo, «Convenzione Unesco e promozione interculturale nei musei», pp. 451-457) esplora in che modo i musei europei stanno rispondendo alle sfide del dialogo interculturale, e propone alcune riflessioni su quali politiche e misure concrete i Paesi che hanno ratificato la Convenzione possono adottare per sostenere i musei nella promozione non solo di una più piena partecipazione degli individui di origine immigrata alla vita culturale della comunità di cui sono entrati a far parte, ma anche della creazione di spazi condivisi, dove gruppi portatori di sensibilità differenti possano interagire su un piano di parità e di reciprocità.
Il presupposto affinché tali politiche siano davvero all’altezza di questa sfida è che l’“integrazione” sia intesa non solo come adattamento dei migranti alla cultura del Paese che li accoglie, ma anche e soprattutto come lo sviluppo in tutti i cittadini, autoctoni e di origine immigrata, di quelle attitudini e di quei comportamenti che sono indispensabili in un mondo di crescente contatto e interazione tra pratiche culturali differenti.
Ecco perché alle misure più “tradizionali”, adottate già da tempo da alcuni dei Paesi firmatari – tra cui l’utilizzo di strumenti legislativi, normativi e finanziari per vincolare il sostegno pubblico alla capacità dei musei di aprirsi ai “nuovi pubblici” – si dovrebbero affiancare strategie finalizzate a sviluppare una concezione più dialogica di “patrimonio” come risorsa per l’inclusione culturale e la cittadinanza attiva. Non a caso, l’art. 7 della Convenzione Unesco recita: «le Parti provvedono altresì a riconoscere l’importante contributo degli artisti e di tutti coloro che partecipano al processo creativo, delle comunità culturali e delle organizzazioni che li sostengono nel loro lavoro, nonché il loro ruolo centrale, consistente nell’alimentare la diversità delle espressioni culturali». Riferito all’ambito dei musei e del patrimonio, questo articolo dischiude prospettive del tutto inedite non solo per la comunità professionale, chiamata a rimettere in discussione alcuni dei presupposti su cui ha tradizionalmente fondato il proprio modo di operare, ma anche per i policy makers, che dovranno dimostrarsi capaci di integrare le più tradizionali politiche di tutela del patrimonio con misure volte a promuovere l’inclusione di nuove voci, competenze e narrazioni nei musei.
Questa sfida si gioca su alcuni fronti fondamentali: sollecitando i musei a riconoscere alle funzioni di educazione al patrimonio e di mediazione culturale pari dignità rispetto alla conservazione, alla ricerca e all’esposizione delle collezioni; investendo nella formazione di figure specifiche; dando spazio ai “nuovi interpreti” del patrimonio culturale e riconoscendo la loro professionalità; incentivando il partenariato interistituzionale tra musei, biblioteche, archivi, istituti di ricerca, scuole, centri per la formazione degli adulti, enti locali, associazioni culturali, mediatori e artisti, che consente di attingere a una pluralità di saperi e competenze; sviluppando chiari indicatori metodologici per individuare e sostenere le buone pratiche di educazione al patrimonio in chiave interculturale; definendo indicatori di performance non solo numerici, come ad esempio la percentuale di visitatori appartenenti a minoranze etniche, ma anche metodologici, come la progettazione partecipata e il coinvolgimento attivo delle comunità (art. 7 e 11 della Convenzione Unesco, che promuovono la partecipazione delle comunità culturali e della società civile); definendo nuovi standard per i musei non solo nell’ambito della conservazione e della gestione delle collezioni, ma anche sul fronte dell’audience development, dell’accesso e dell’inclusione, del dialogo interculturale.
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