La tesi, composta da quattro capitoli e una parte conclusiva, si propone di analizzare le problematiche e le esperienze di educazione al patrimonio in chiave interculturale in ambito scolastico-museale nel nostro Paese.
La decisione di affrontare tale argomento si fonda su due essenziali motivazioni. In primo luogo, il tema affrontato è legato a doppio filo alla consapevolezza dei cambiamenti prodotti nella società italiana dal fenomeno delle migrazioni, che ne hanno modificato significativamente la connotazione socio-culturale; tutte le agenzie educative, istituzioni museali incluse, hanno il dovere di rispondere ai bisogni dei contesti sociali a cui si rivolgono, con la messa a punto di strategie e iniziative educative e didattiche significative. In secondo luogo, risulta fondante la convinzione che il patrimonio (artistico, storico, antropologico, paesaggistico…) sia di per sé il prodotto di influssi culturalmente diversificati, e come tale si presti a innescare processi di confronto e di scambio interculturale.
Quanto alla scuola, anch’essa rappresenta un luogo privilegiato di confronto e condivisione, teatro di formazione della coscienza sociale e della convivenza civile; nella scuola si costruiscono giorno dopo giorno relazioni determinanti per il percorso di apprendimento e il percorso di vita di ciascun alunno: è nell’ottica della formazione di nuovi cittadini e cittadine che le opportunità di dialogo interculturale devono essere colte, dando origine a itinerari educativi e didattici finalizzati alla coesione sociale e alla più ampia consapevolezza del principio di diversità/uguaglianza, sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione.
La tesi passa quindi ad analizzare i programmi scolastici del primo e secondo ciclo dell’istruzione dal 1968 ai giorni nostri; l’intento in questo caso consiste nell’evidenziare in quale misura la scuola italiana abbia riconosciuto l’importanza del patrimonio come strumento di pratica interculturale. Il capitolo si chiude con la descrizione di due progetti: “Multiculturalismo: la ricchezza della diversità”, realizzato dal Liceo Scientifico G. Benedetti e “Vicino… lontano nell’arte”, realizzato dalla Scuola Primaria “Giosuè Carducci” del Comune di Attimis (Udine).
Le istituzioni museali, a cui da tempo è stato riconosciuto un ruolo formativo, hanno sentito a loro volta l’esigenza di interfacciarsi con una nuova fascia di pubblico, composta dai cittadini di origine immigrata, rispetto ai quali si pone il dovere costituzionale di una integrazione e inclusione quanto più ampia e incisiva. Nel quarto e ultimo capitolo della tesi si prendono in esame, come casi di studio, tre progetti: “A Brera anch’io” e “Brera: un’altra storia”, entrambi ideati e realizzati dalla Pinacoteca Nazionale di Brera, e “Il Museo Civico, spazio antico per dialoghi nuovi” del Museo Civico di Pistoia, per il quale mi sono avvalsa dell’osservazione e partecipazione diretta alle visite e ai laboratori con le classi svoltisi nel corso dell’a.s. 2014-2015.
Queste esperienze concorrono a dimostrare come la progettazione di attività capaci di assolvere un compito tanto nobile quanto impegnativo, debba essere declinata non solo in base alla tipologia di museo e/o del bene patrimoniale che ci si accinge a conoscere e grazie al quale creare un terreno di incontro tra differenti culture, ma soprattutto in base al pubblico a cui si intende destinare tale attività.
Dall’analisi dei progetti museali sopra citati è evidente che esistono approcci metodologici diversi nell’ideazione e nella realizzazione di percorsi formativi di educazione interculturale; ciò che appare necessario e inderogabile rimane il traguardo (peraltro presente in ogni progetto esaminato quale finalità comune) di una società dialogante e consapevole, affrancata da fenomeni di razzismo, xenofobia, disparità di genere e da qualsiasi forma ed espressione di emarginazione perseguibile a norma di dettato costituzionale.
La decisione di affrontare tale argomento si fonda su due essenziali motivazioni. In primo luogo, il tema affrontato è legato a doppio filo alla consapevolezza dei cambiamenti prodotti nella società italiana dal fenomeno delle migrazioni, che ne hanno modificato significativamente la connotazione socio-culturale; tutte le agenzie educative, istituzioni museali incluse, hanno il dovere di rispondere ai bisogni dei contesti sociali a cui si rivolgono, con la messa a punto di strategie e iniziative educative e didattiche significative. In secondo luogo, risulta fondante la convinzione che il patrimonio (artistico, storico, antropologico, paesaggistico…) sia di per sé il prodotto di influssi culturalmente diversificati, e come tale si presti a innescare processi di confronto e di scambio interculturale.
Quanto alla scuola, anch’essa rappresenta un luogo privilegiato di confronto e condivisione, teatro di formazione della coscienza sociale e della convivenza civile; nella scuola si costruiscono giorno dopo giorno relazioni determinanti per il percorso di apprendimento e il percorso di vita di ciascun alunno: è nell’ottica della formazione di nuovi cittadini e cittadine che le opportunità di dialogo interculturale devono essere colte, dando origine a itinerari educativi e didattici finalizzati alla coesione sociale e alla più ampia consapevolezza del principio di diversità/uguaglianza, sancito dall’articolo 3 della nostra Costituzione.
La tesi passa quindi ad analizzare i programmi scolastici del primo e secondo ciclo dell’istruzione dal 1968 ai giorni nostri; l’intento in questo caso consiste nell’evidenziare in quale misura la scuola italiana abbia riconosciuto l’importanza del patrimonio come strumento di pratica interculturale. Il capitolo si chiude con la descrizione di due progetti: “Multiculturalismo: la ricchezza della diversità”, realizzato dal Liceo Scientifico G. Benedetti e “Vicino… lontano nell’arte”, realizzato dalla Scuola Primaria “Giosuè Carducci” del Comune di Attimis (Udine).
Le istituzioni museali, a cui da tempo è stato riconosciuto un ruolo formativo, hanno sentito a loro volta l’esigenza di interfacciarsi con una nuova fascia di pubblico, composta dai cittadini di origine immigrata, rispetto ai quali si pone il dovere costituzionale di una integrazione e inclusione quanto più ampia e incisiva. Nel quarto e ultimo capitolo della tesi si prendono in esame, come casi di studio, tre progetti: “A Brera anch’io” e “Brera: un’altra storia”, entrambi ideati e realizzati dalla Pinacoteca Nazionale di Brera, e “Il Museo Civico, spazio antico per dialoghi nuovi” del Museo Civico di Pistoia, per il quale mi sono avvalsa dell’osservazione e partecipazione diretta alle visite e ai laboratori con le classi svoltisi nel corso dell’a.s. 2014-2015.
Queste esperienze concorrono a dimostrare come la progettazione di attività capaci di assolvere un compito tanto nobile quanto impegnativo, debba essere declinata non solo in base alla tipologia di museo e/o del bene patrimoniale che ci si accinge a conoscere e grazie al quale creare un terreno di incontro tra differenti culture, ma soprattutto in base al pubblico a cui si intende destinare tale attività.
Dall’analisi dei progetti museali sopra citati è evidente che esistono approcci metodologici diversi nell’ideazione e nella realizzazione di percorsi formativi di educazione interculturale; ciò che appare necessario e inderogabile rimane il traguardo (peraltro presente in ogni progetto esaminato quale finalità comune) di una società dialogante e consapevole, affrancata da fenomeni di razzismo, xenofobia, disparità di genere e da qualsiasi forma ed espressione di emarginazione perseguibile a norma di dettato costituzionale.