La tesi si sviluppa attraverso un’analisi antropologica del progetto “L’arte di fare la differenza”, considerato nelle sue caratteristiche fondamentali: la progettazione partecipata, l’empowerment e l’inclusione sociale. Attraverso un confronto tra la letteratura e le pratiche messe in atto nello svolgimento del progetto emerge come la partecipazione, che ha caratterizzato l’esperienza in tutte le sue fasi, da quella progettuale e di analisi dei bisogni fino alla restituzione finale dei risultati, abbia permesso di mettere in campo dinamiche relazionali e di scambio interculturale rivelatesi molto fruttuose, oltre che innovative.
Far sì che tutte le persone coinvolte si sentissero parte attiva delle sorti del progetto ha costituito terreno fertile su cui far crescere e maturare possibilità di empowerment e di inclusione sociale.
Gli attori di progetto sono persone molto diverse tra loro, provenienti da percorsi di vita e da ambiti formativi e professionali in alcuni casi molto distanti. Questo carattere fortemente interculturale delle relazioni tra i membri dei piccoli gruppi, chiamati “triadi”, oltre che del gruppo allargato, potrebbe apparire come un ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo finale, cioè la creazione di un’opera d’arte da parte di ciascuna triade. Quello che emerge dalla mia analisi, però, è che proprio queste differenze hanno costituito la più grande risorsa per la buona riuscita del progetto: ciascuno dei partecipanti si è dovuto mettere in gioco con tutte le proprie capacità e i propri limiti, cercando di accrescere e rafforzare le competenze laddove ce ne fosse bisogno e di mettere quelle già acquisite e consolidate al servizio degli altri e del gruppo intero, per renderle davvero patrimonio condiviso. L’effetto che ne è scaturito è senza dubbio di empowerment, in quanto tutti si sono trovati, al termine del percorso, in qualche modo capacitati, chi nella dimensione artistica, chi in quella relazionale.
Il carattere partecipativo di questa esperienza ha fatto sì che si venissero a creare dinamiche inclusive, in cui chi solitamente vive ai margini della società ed è considerato utente passivo di servizi socio-educativi si è trovato a poter incidere sul percorso del progetto e a sentirsi parte fondamentale nella realizzazione dell’opera d’arte, grazie anche al rafforzamento della propria autostima derivante dal riconoscimento di status di artista. La partecipazione, quindi, emerge come condizione necessaria per la realizzazione di contesti inclusivi e con potenzialità empowering.
Considerato il mio percorso formativo in ambito educativo, una parte della tesi è dedicata all’analisi del ruolo delle educatrici in formazione, che si è rivelato assumere connotazioni un po’ diverse dal ruolo educativo inteso in senso tradizionale. Questo deriva, ancora una volta, dalla scelta della progettazione partecipata, approccio purtroppo ancora difficilmente riscontrabile nella progettazione all’interno dei servizi socio-educativi.