“Lingua contro lingua”

Tiziana Nosek | Master “Servizi Educativi per il patrimonio artistico, dei musei storici e di arti visive” | Università Cattolica di Milano
a.a. 2006-2007

La proposta progettuale della mostra “Lingua contro lingua” (il titolo è tratto dall’album dei Radiodervish,  edizioni “Il Manifesto”, Cosmasola snc., 2005) è l’esito dello stage svolto presso il Centro Piemontese di Studi Africani (CSA) di Torino e della collaborazione con il Museo di Antropologia e Etnografia dell’Università di Torino. “Lingua contro lingua” raccoglie non solo l’eredità culturale del progetto del CSA “Migranti e Patrimoni culturali”, ma anche le risorse umane che nel suo ambito si sono formate, ovvero i mediatori culturali che hanno preso parte al corso di formazione per Mediatori dei Patrimoni Interculturali.
La proposta progettuale esposta nella tesi ha la duplice finalità di valorizzare i beni africanistici conservati nel Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino e di sperimentare una proposta inclusiva di mediazione dei patrimoni culturali in un’ottica interculturale.
Obiettivo della mostra è offrire ai visitatori un percorso di conoscenza di alcuni degli oggetti africani divenuti patrimonio culturale anche piemontese, portatori, per la loro stessa storia, di molteplici racconti, voci, leggende legate a una rappresentazione dell’alterità, frutto di una lenta e progressiva costruzione culturale.
La collezione “Gariazzo-Sesti” del Museo di Antropologia ed Etnografia di Torino costituisce una risorsa preziosa perché esemplificativa della cultura coloniale italiana, sia nelle modalità dell’acquisizione che in quelle della musealizzazione. La collezione, acquisita con un’attitudine non scientifica, in linea con un’inclinazione culturale molto vicina alla natura delle relazioni che intercorrevano tra colonizzatori e colonie, è stata donata successivamente per suffragare e divulgare le ragioni del colonialismo, plasmando la rappresentazione delle culture soggette, delle quali sono stati sottolineati i caratteri di arretratezza e di primitivismo.
Tale patrimonio, quindi, ben si presta a una rivisitazione dei suoi contenuti con l’intento di proporre una corretta esposizione, sia museale che di comunicazione, ad un pubblico ormai tenuto a privarsi delle rappresentazioni coloniali ed evoluzionistiche cui è stato educato dalla vecchia cultura museografica.
Il gruppo di lavoro che parteciperà a questo progetto sarà formato da professionisti esperti di culture africane, da operatori museali e da mediatori culturali, prevalentemente di origine africana; la progettazione partecipata è prevista per tutte le fasi di lavoro: dalla metodologia adottata alla formazione, dalla scelta degli oggetti da proporre al pubblico alle modalità di visita offerte, dalla comunicazione dell’evento alla verifica della buona riuscita del progetto.
La mostra sarà frutto di un confronto aperto, nella logica della condivisione di un patrimonio che possa promuovere una “nuova lingua” in cui ogni identità culturale trovi espressione senza ripudiare il suo passato, la sua provenienza, la sua appartenenza.
Nei percorsi di visita guidata e narrata che saranno proposti all’interno delle sale del museo, i visitatori saranno accompagnati da un educatore museale e da un mediatore culturale, i quali, dialogando tra di loro e interagendo con il pubblico, proporranno una molteplice lettura degli oggetti esposti.
L’educatore museale racconterà i “viaggi” geografici e d’interpretazione che le testimonianze hanno compiuto (dal luogo di produzione sino all’arrivo a Torino), e sarà aiutato dal mediatore a contestualizzarli, vale a dire, a sottolineare quanto la loro storia, gli usi, le interpretazioni, nonché l’utilizzo ideologico e culturale che di essi è stato fatto, siano stati determinati dalla modalità di acquisizione.
Ogni oggetto sarà quindi presentato secondo una prospettiva diacronica in grado di ripercorrerne i diversi usi in base ai tempi e ai suoi spostamenti, permettendo a entrambe le voci di esprimere le proprie identità, in un incontro che possa lasciare spazio a posizioni e punti di vista differenti.
Partendo da questi presupposti, i visitatori non troveranno accanto agli oggetti esposti alcun cartellino identificativo né, all’interno delle sale, saranno apposti pannelli esplicativi. La staticità di questo tipo di informazioni non sarebbe funzionale alla dinamicità del percorso proposto, il quale verterà sulla messa in discussione non solo delle interpretazioni delle due voci narranti, ma anche di quelle di ciascun individuo che, posto dinanzi a un oggetto che non conosce realmente, immediatamente lo interpreta sulla base dei propri riferimenti sociali e dei propri stereotipi culturali. Infatti, saranno le diverse identità – dell’educatore, del mediatore, con l’eventuale partecipazione del pubblico – a provare a “decolonizzare” insieme gli oggetti, liberandoli gradualmente dai significati immaginari e viziati che il colonialismo ha loro imposto e che si sono diffusi nella cultura occidentale.
Il percorso espositivo dovrà garantire la centralità degli oggetti: si presume che ciò possa essere visivamente ottenuto con fasci di luce puntati solo sugli oggetti e lasciando tutti gli altri spazi delle sale nella penombra. Gli oggetti saranno visibili a 360 gradi e i visitatori, accompagnati dalle “guide”, saranno invitati a disporsi a cerchio e ad osservare da ogni punto di vista gli oggetti dei quali verranno raccontate le storie. Con il movimento circolare e con la libertà della visuale sull’oggetto si vorrebbe metaforicamente invitare ogni spettatore a spostare il proprio punto di vista man mano che le informazioni aumentano. Per enfatizzare la centralità concettuale e visiva degli oggetti, si ipotizza che ognuno di essi possa essere presentato sospeso dall’alto; tale allestimento potrebbe anche suscitare un potere evocativo.
La mostra sarà allestita nelle sale del Museo dove si svolgono le mostre temporanee o i cicli di conferenze, collocate nell’antico stabile che conserva le sue collezioni; sarà aperta al pubblico secondo le modalità delle visite guidate e narrate, programmate sulla base di un dettagliato calendario, per ovviare al problema della difficile accessibilità del luogo.
Si ipotizza inoltre che le attività di accoglienza, biglietteria, guardaroba, distribuzione dei depliant siano gestite dai mediatori culturali e da almeno un educatore museale.