Per alcuni anni mi sono occupata di didattica e comunicazione interculturale al Castello D’albertis Museo delle Culture del Mondo.
Quando ripenso alla mia esperienza professionale, mi rendo conto che, nonostante la precarietà lavorativa che colpisce me e la stragrande maggioranza di coloro che operano nel settore culturale, mi sento una privilegiata: sono una di quelle rare persone che, andando a lavorare, non solo impara sempre qualcosa di nuovo, ma che ha anche la possibilità di operare in un ambito in cui i rapporti intessuti sono arricchenti e rappresentano sempre nuovi stimoli, anche a livello umano.
Riflettendo sui processi di realizzazione delle attività organizzate, mi rendo conto quanto ogni singola esperienza, fallimentare o riuscita che sia, rappresenti un tassello fondamentale nella costruzione di una didattica interculturale adeguata a questa nostra società in continuo cambiamento.
Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo e delle Musiche dei Popoli rappresenta uno spazio ideale per l’incontro fra diverse culture attraverso linguaggi differenziati. L’allestimento e il percorso espositivo riflettono di per sé questo obiettivo (1), e attraverso tutte le attività di didattica interculturale realizzate in questi anni, la direttrice e lo staff del museo hanno cercato di rendere evidente in che misura si possa raggiungere l’arricchimento attraverso il confronto e il dialogo.
Devo subito chiarire che, con il termine “didattica”, non intendo soltanto le attività dedicate ai bambini, ma faccio riferimento a tutto l’apparato, le iniziative e i supporti che permettono la trasmissione dei messaggi del museo in modo che siano più comprensibili per i visitatori di qualsiasi età e origine culturale.
Nella società ormai multiculturale di Genova si consolida, infatti, come uno dei più importanti obiettivi del Museo delle Culture del Mondo quello di riflettere identità che abbiano validità per l’intera popolazione, ma che contemporaneamente siano adeguate ai diversi gruppi da cui quest’ultima è composta. Da tempo, la direzione di Castello D’Albertis ha cercato di inserire a pieno titolo fra i propri frequentatori i sempre più numerosi cittadini di origine straniera, soprattutto valutando la natura degli ultimi flussi migratori. Negli ultimi venti anni, in effetti, si è stabilita a Genova una popolazione immigrata portatrice di progetti migratori di lunga durata, composta in buona parte da persone giovani, di livello culturale piuttosto alto e provenienti da contesti cittadini, dove l’offerta culturale è presente e diffusa.
Nel corso delle attività organizzate per includere i cittadini di origine straniera, abbiamo osservato come sia sempre valida l’indiscutibile, ma spesso tutt’altro che scontata, premessa che per una concreta e fruttuosa didattica interculturale è fondamentale essere consapevoli che la maniera in cui ciascun visitatore percepisce il patrimonio culturale è influenzata, oltre che da una componente prettamente personale, anche da una cornice di saperi entro cui ogni individuo si muove. Ogni cultura e società, infatti, possiede una rete di saperi condivisi, che spesso risulta implicita nel modo di esprimersi e di avvertire le esperienze.
Tali precisazioni possono sembrare banali, ma sia nel corso della mia esperienza professionale, sia osservando la miriade di eventi che si definiscono interculturali, ho rilevato quanto spesso i musei si rivolgano a visitatori di culture “diverse” in maniera superficiale o ponendosi in posizione di superiorità. Alcune iniziative comunicano inconsciamente la prospettiva privilegiata dell’europeo, per cui lo scambio culturale é connesso alle idee di tolleranza e di accoglienza e non ad un effettiva equivalenza di valori. Iniziative organizzate in maniera superficiale, non supportate da una profonda conoscenza della cultura con cui si vuole entrare in contatto, né da una sostanziale conoscenza dell’universo culturale degli immigrati che si vogliono coinvolgere, possono trasmettere in realtà il messaggio implicito che l’uguaglianza accordata ai non occidentali sia una sorta di cortesia e non una naturale conseguenza della comune natura umana (2).
L’organizzazione di eventi che possano realmente corrispondere alle attese del pubblico immigrato comporta, invece, un grande impegno di tempo e di energie, e soprattutto la disponibilità a mettere in discussione i propri valori e le proprie certezze. Attraverso le diverse esperienze cui ho preso parte, si è fatta strada in me sempre più forte la consapevolezza che per un reale coinvolgimento dei “nuovi cittadini” sia innanzitutto necessario superare la naturale diffidenza che essi nutrono nei confronto delle istituzioni museali. Abbiamo, quindi, cercato di progettare iniziative che parlassero linguaggi familiari alle comunità immigrate, anche grazie alla collaborazione di esponenti delle associazioni di cittadini stranieri, coinvolti fin dalle prime fasi di progettazione. Inoltre, mettendo da parte ogni sorta di intellettualismo, abbiamo tentato di sviluppare una strategia che ci permettesse di avvicinare in modo concreto i cittadini stranieri, passando ore (assolutamente piacevoli) nei luoghi abituali di ritrovo degli immigrati a discorrere e a far loro conoscere le attività del museo.
Sebbene la direttrice e lo staff del museo cerchino da sempre di collaborare il più possibile con operatori culturali di origine immigrata, rimane la consapevolezza che questo tipo di interventi non rappresenta di per sé l’“ingrediente magico” per la riuscita di un evento interculturale. Qualche volta, la collaborazione con i mediatori culturali stranieri non ha saputo esprimere appieno le potenzialità di un’iniziativa. In alcune occasioni si è commesso l’errore di fermarsi ad un livello di scambio e di dialogo più esteriore che reale, limitandosi a esibire l’origine straniera come garanzia di “interculturalità”; in altre situazioni, non si è arrivati a comprendere del tutto le esigenze del pubblico di origine immigrata, che non si è sentito richiamato dall’iniziativa. Di frequente, tuttavia, la collaborazione con associazioni e mediatori stranieri si è rivelata una scelta adeguata, anche attraverso il superamento delle difficoltà che le differenze nel concepire l’organizzazione e l’ideazione degli eventi hanno fatto scaturire (3).
Per secoli il museo è stato interprete di visioni distorte delle culture extraeuropee, classificate con gli occhi dell’Occidente moderno e industrializzato. Oggi, un simile approccio non è più accettabile da parte di un’istituzione dotata di una sufficiente onestà intellettuale. Il museo deve quindi abbandonare con determinazione il suo tradizionale ruolo (che purtroppo in molti casi ricopre ancora con orgoglio) di legittimare l’esclusione di minoranze culturali o etniche e di riprodurre le disuguaglianze sociali. Oggi, chi lavora nei musei ha il compito di contribuire a rinnovare sistemi di relazioni consolidati, cercando prima di tutto di essere consapevole dei giochi di potere che si sono generati e che tuttora determinano scelte e inclinazioni nelle politiche dei musei. La didattica interculturale assume, quindi, l’ulteriore significato di rendere il visitatore consapevole delle dinamiche di esclusione e inclusione culturale attuate dal museo. In quest’ottica diventa, dunque, indispensabile presentare e vivere la nostra visione del mondo come una fra le molte valide, consapevoli di essere, come tutti, figli della nostra cultura e del nostro tempo.
Quando ripenso alla mia esperienza professionale, mi rendo conto che, nonostante la precarietà lavorativa che colpisce me e la stragrande maggioranza di coloro che operano nel settore culturale, mi sento una privilegiata: sono una di quelle rare persone che, andando a lavorare, non solo impara sempre qualcosa di nuovo, ma che ha anche la possibilità di operare in un ambito in cui i rapporti intessuti sono arricchenti e rappresentano sempre nuovi stimoli, anche a livello umano.
Riflettendo sui processi di realizzazione delle attività organizzate, mi rendo conto quanto ogni singola esperienza, fallimentare o riuscita che sia, rappresenti un tassello fondamentale nella costruzione di una didattica interculturale adeguata a questa nostra società in continuo cambiamento.
Castello D’Albertis Museo delle Culture del Mondo e delle Musiche dei Popoli rappresenta uno spazio ideale per l’incontro fra diverse culture attraverso linguaggi differenziati. L’allestimento e il percorso espositivo riflettono di per sé questo obiettivo (1), e attraverso tutte le attività di didattica interculturale realizzate in questi anni, la direttrice e lo staff del museo hanno cercato di rendere evidente in che misura si possa raggiungere l’arricchimento attraverso il confronto e il dialogo.
Devo subito chiarire che, con il termine “didattica”, non intendo soltanto le attività dedicate ai bambini, ma faccio riferimento a tutto l’apparato, le iniziative e i supporti che permettono la trasmissione dei messaggi del museo in modo che siano più comprensibili per i visitatori di qualsiasi età e origine culturale.
Nella società ormai multiculturale di Genova si consolida, infatti, come uno dei più importanti obiettivi del Museo delle Culture del Mondo quello di riflettere identità che abbiano validità per l’intera popolazione, ma che contemporaneamente siano adeguate ai diversi gruppi da cui quest’ultima è composta. Da tempo, la direzione di Castello D’Albertis ha cercato di inserire a pieno titolo fra i propri frequentatori i sempre più numerosi cittadini di origine straniera, soprattutto valutando la natura degli ultimi flussi migratori. Negli ultimi venti anni, in effetti, si è stabilita a Genova una popolazione immigrata portatrice di progetti migratori di lunga durata, composta in buona parte da persone giovani, di livello culturale piuttosto alto e provenienti da contesti cittadini, dove l’offerta culturale è presente e diffusa.
Nel corso delle attività organizzate per includere i cittadini di origine straniera, abbiamo osservato come sia sempre valida l’indiscutibile, ma spesso tutt’altro che scontata, premessa che per una concreta e fruttuosa didattica interculturale è fondamentale essere consapevoli che la maniera in cui ciascun visitatore percepisce il patrimonio culturale è influenzata, oltre che da una componente prettamente personale, anche da una cornice di saperi entro cui ogni individuo si muove. Ogni cultura e società, infatti, possiede una rete di saperi condivisi, che spesso risulta implicita nel modo di esprimersi e di avvertire le esperienze.
Tali precisazioni possono sembrare banali, ma sia nel corso della mia esperienza professionale, sia osservando la miriade di eventi che si definiscono interculturali, ho rilevato quanto spesso i musei si rivolgano a visitatori di culture “diverse” in maniera superficiale o ponendosi in posizione di superiorità. Alcune iniziative comunicano inconsciamente la prospettiva privilegiata dell’europeo, per cui lo scambio culturale é connesso alle idee di tolleranza e di accoglienza e non ad un effettiva equivalenza di valori. Iniziative organizzate in maniera superficiale, non supportate da una profonda conoscenza della cultura con cui si vuole entrare in contatto, né da una sostanziale conoscenza dell’universo culturale degli immigrati che si vogliono coinvolgere, possono trasmettere in realtà il messaggio implicito che l’uguaglianza accordata ai non occidentali sia una sorta di cortesia e non una naturale conseguenza della comune natura umana (2).
L’organizzazione di eventi che possano realmente corrispondere alle attese del pubblico immigrato comporta, invece, un grande impegno di tempo e di energie, e soprattutto la disponibilità a mettere in discussione i propri valori e le proprie certezze. Attraverso le diverse esperienze cui ho preso parte, si è fatta strada in me sempre più forte la consapevolezza che per un reale coinvolgimento dei “nuovi cittadini” sia innanzitutto necessario superare la naturale diffidenza che essi nutrono nei confronto delle istituzioni museali. Abbiamo, quindi, cercato di progettare iniziative che parlassero linguaggi familiari alle comunità immigrate, anche grazie alla collaborazione di esponenti delle associazioni di cittadini stranieri, coinvolti fin dalle prime fasi di progettazione. Inoltre, mettendo da parte ogni sorta di intellettualismo, abbiamo tentato di sviluppare una strategia che ci permettesse di avvicinare in modo concreto i cittadini stranieri, passando ore (assolutamente piacevoli) nei luoghi abituali di ritrovo degli immigrati a discorrere e a far loro conoscere le attività del museo.
Sebbene la direttrice e lo staff del museo cerchino da sempre di collaborare il più possibile con operatori culturali di origine immigrata, rimane la consapevolezza che questo tipo di interventi non rappresenta di per sé l’“ingrediente magico” per la riuscita di un evento interculturale. Qualche volta, la collaborazione con i mediatori culturali stranieri non ha saputo esprimere appieno le potenzialità di un’iniziativa. In alcune occasioni si è commesso l’errore di fermarsi ad un livello di scambio e di dialogo più esteriore che reale, limitandosi a esibire l’origine straniera come garanzia di “interculturalità”; in altre situazioni, non si è arrivati a comprendere del tutto le esigenze del pubblico di origine immigrata, che non si è sentito richiamato dall’iniziativa. Di frequente, tuttavia, la collaborazione con associazioni e mediatori stranieri si è rivelata una scelta adeguata, anche attraverso il superamento delle difficoltà che le differenze nel concepire l’organizzazione e l’ideazione degli eventi hanno fatto scaturire (3).
Per secoli il museo è stato interprete di visioni distorte delle culture extraeuropee, classificate con gli occhi dell’Occidente moderno e industrializzato. Oggi, un simile approccio non è più accettabile da parte di un’istituzione dotata di una sufficiente onestà intellettuale. Il museo deve quindi abbandonare con determinazione il suo tradizionale ruolo (che purtroppo in molti casi ricopre ancora con orgoglio) di legittimare l’esclusione di minoranze culturali o etniche e di riprodurre le disuguaglianze sociali. Oggi, chi lavora nei musei ha il compito di contribuire a rinnovare sistemi di relazioni consolidati, cercando prima di tutto di essere consapevole dei giochi di potere che si sono generati e che tuttora determinano scelte e inclinazioni nelle politiche dei musei. La didattica interculturale assume, quindi, l’ulteriore significato di rendere il visitatore consapevole delle dinamiche di esclusione e inclusione culturale attuate dal museo. In quest’ottica diventa, dunque, indispensabile presentare e vivere la nostra visione del mondo come una fra le molte valide, consapevoli di essere, come tutti, figli della nostra cultura e del nostro tempo.
Note
(1) M. C. De Palma, M. C., Un Castello Neogotico tra camere delle meraviglie e trofei coloniali, in Atti del convegno di Studi “Case museo ed allestimenti d’epoca. Interventi di recupero museografico a confronto” (Saluzzo, Biblioteca Civica, 13 e 14 settembre 1996), Torino 2003.
(2) Cfr. S. Price, I primitivi traditi, Torino, 1992, pp.35-52.
(3) Cfr. M. E. Pisaturo, Castello D’Abertis, le culture del mondo a Genova, in inserto “Interculture map” di “Africa e Mediterraneo” n. 58, marzo 2007, Bologna, pp. 70-72.
(2) Cfr. S. Price, I primitivi traditi, Torino, 1992, pp.35-52.
(3) Cfr. M. E. Pisaturo, Castello D’Abertis, le culture del mondo a Genova, in inserto “Interculture map” di “Africa e Mediterraneo” n. 58, marzo 2007, Bologna, pp. 70-72.