L’educazione al patrimonio in chiave interculturale: il contributo della storia insegnata

Ernesto Perillo
Clio' 92 - Associazione ricercatori e insegnanti sulla didattica della storia
2007

(Il testo riprende le riflessioni elaborate dal gruppo di ricerca sull’insegnamento della storia in dimensione interculturale dell’Associazione Clio 92 e il contributo del prof. Antonio Brusa su questo stesso tema)

1. Secondo l’idea più diffusa, la storia è organizzare il racconto del passato in modo cronologicamente lineare, descrivendo una sorta di genealogia che lega il tempo presente all’antichità. Questa idea si ritrova nella maggior parte dei paesi del mondo e, quasi ovunque, è alla base della storia insegnata.
L’ossatura comune di questo racconto si può ricondurre alla sequenza: preistoria – Vicino oriente – Grecia e Roma – Medioevo – formazione degli Stati e delle nazioni – posto del proprio Stato nell’Europa e nel mondo – mondo attuale.
Un sorta di canone della storia insegnata che, al di là di specifiche varianti e differenti modulazioni, consente di riconoscere un filo rosso comune. Il soggetto di questa idea di storia è lo stato nazionale, lo scopo quello della ricerca delle origini e della costruzione di una irripetibile identità.
Quali i fondamenti epistemologici della storia generale tradizionale? Ivo Mattozzi li individua nei seguenti quattro presupposti:
– il primato del politico-istituzionale;
– la linearità cronologica;
– la narrazione come forma discorsiva dominante;
– l’esclusività del passato europeo.
Nel dopoguerra, l’avvento della mondializzazione dallo scientifico al quotidiano ha progressivamente smantellato l’illusione che questa sequenza potesse veramente descrivere il passato di tutto il mondo. Nonostante questa nuova istanza, la tradizione scolastica si è rivelata pressoché inossidabile. Ha escogitato sistemi che, pur permettendo sguardi sempre più ampi sul mondo, continuassero a salvare il vecchio schema.
La strategia più diffusa è stata ed è, come osserva Antonio Brusa, quella di inserire, nel racconto lineare del passato, storie di altre parti del pianeta in due momenti fondamentali. Il primo inserimento viene collocato al momento della trattazione delle civiltà del vicino Oriente: Egitto e Mesopotamia. Con un elementare strumento di comparazione (il modello delle civiltà dei fiumi) si introduce l’analisi e lo studio di quadri societari della Meso-america e dell’India.
Il secondo inserimento di società extraeuropee avviene nel momento topico della scoperta dell’America, quando programmi di studio ed autori di manuali interrompono la narrazione tradizionale per raccontare pezzi di storia americana, australiana, asiatica.
Lo schema narrativo si ripete sempre: mentre in Europa succedeva…, contemporaneamente in Asia, Africa, America avveniva…; prima era successo… dopo avverrà… Con uno, due capitoli del manuale si esaurisce il racconto del passato, del presente e del futuro del “resto del mondo”.
È stato più volte notato che questo sistema di insegnamento rappresenta un’apertura parziale e insoddisfacente alla storia mondiale e in qualche modo può essere interpretato come una ulteriore conferma dello schema di narrazione eurocentrica: l’alunno impara che “gli altri” vengono chiamati in causa solo per fatti legati a vicende europee.

2. Non si tratta solo di individuare quali apporti può dare la storia all’educazione interculturale, ma di re-interrogare la storia, così come l’abbiamo finora pensata e raccontata, alla luce di domande e prospettive interculturali.
Che cosa significa questo in concreto?
Ipotizziamo che la SDI (storia in dimensione interculturale) possa snodarsi su più ambiti:
a) la decostruzione / messa in gioco delle identità individuali e collettive;
b) la costruzione di un’altra storia (dall’assunzione della scala mondiale a un nuovo racconto-cornice della storia del mondo e dell’umanità):
– nuova sintassi;
– la scala mondiale come matrice di tutte le altre storie;
– ragionare per scale, con riferimento allo spazio: scala mondiale, scale continentali (europee, asiatiche, africane….), nazionali, regionali, provinciali, locali…; con riferimento al tempo: dalla lunga durata al tempo breve dell’avvenimento; con riferimento ai soggetti: dalle civiltà, ai popoli, alle culture fino agli individui;
c) la riflessione critica sulla dimensione culturale e storica degli strumenti cognitivi della ricostruzione storica (rapporto presente/passato/presente, datazione, periodizzazione, tematizzazione, punti di vista…);
d) l’adozione di metodologie coerenti con la SDI:
– utilizzare il metodo dello studio di caso per sviluppare confronti e comparazioni tra situazioni differenti (ad esempio, la rivoluzione neolitica nelle diverse aree del mondo: caratteristiche, tempi, conseguenze sullo sviluppo successivo; idem per la rivoluzione industriale; la formazione della forma “stato moderno“ in una dimensione mondiale…);
– utilizzare il metodo della “visione al plurale” della storia per formare competenze alla comprensione e alla gestione di processi di ricostruzione di fatti storici complessi e controversi. La competenza di padroneggiare la visione al plurale della ricostruzione storica va costruita in modo verticale e ricorsivo lungo tutto il curricolo, a partire da semplici esperienze di ricostruzione del passato vicino e direttamente esperito da alunni/e, per considerare aspetti “interni” alla storia nazionale (ad esempio, migrazioni nord/sud, convivenza di diverse comunità e memorie nei territori di confine…), fino agli snodi decisivi della storia mondiale (ad esempio, scoperta/conquista dell’America; colonizzazione/decolonizzazione; il Sud-Est europeo; la globalizzazione; conflitti del XXI secolo…);
– approccio comparativo: definisce le società/civiltà attraverso modelli distintivi di analogie e differenze;
– approccio centrato sulle relazioni: presta attenzione ai contatti e alle contrapposizioni delle diverse società, analizzando i cambiamenti e le resistenze ai cambiamenti;
– approccio centrato sull’analisi dei processi e delle forze globali (migrazioni, commerci, malattie, religioni missionarie…);
– approccio centrato sull’analisi delle modalità con cui le diverse culture/società/civiltà hanno affrontato problemi comuni (le forme di sopravvivenza; il rapporto uomo-ambiente; la tecnologia necessaria per sopravvivere; l’organizzazione dello spazio occupato; le forme della distribuzione della ricchezza e dell’accesso ai mezzi di produzione; le forme dell’organizzazione sociale, del potere; i sistemi di organizzazione culturale e religiosa; le relazioni con “l’altro/gli altri“) nel corso della storia;
– approccio che integra la dimensione cognitiva e affettiva nella costruzione/ricostruzione delle storie di tutti, che sappia coniugare rigore, competenza, approfondimento con empatia, ironia, leggerezza, senso critico e autocritico.

3. Una simile prospettiva di nuova storia insegnata rimette in discussione radicalmente le singole storie nazionali a cui ciascun allievo è stato finora educato, costringendo ognuno a ricollocarsi dentro lo scenario mondiale e il contesto dell’umanità tutta intera. Non si tratta di aggiungere alla storia italiana anche quella cinese, albanese e africana, ma, come abbiamo cercato di dire, di ri-pensare a una storia di tutti e per tutti. Di ripensare un’altra storia.
E in tutto ciò quali il ruolo e le connessioni con l’educazione al patrimonio?
L’educazione al patrimonio è inevitabilmente anche educazione al luogo e del luogo.
Non si può dare patrimonio senza la “materialità” di un luogo definito, anche quando si pensi alle tracce immateriali. Se per luogo intendiamo, come suggerisce M. Revelli: «un segmento di spazio (di superficie geometrica e astratta) trasformato dal lavoro della Storia e della Memoria; perimetrato dalla consuetudine e dal gioco delle relazioni tra persone; reso denso e amichevole dall’abitudine e dalla conoscenza. In sostanza, uno “spazio simbolizzato”, reso “umano” dall’azione di lunga durata della cultura» (Revelli M., 2000) allora risulta evidente l’importanza dello sguardo della storia per comprendere e concettualizzare lo spazio come luogo, frutto della stratificazione e sedimentazione delle diverse presenze umane.
Se il tempo è uno dei tratti costitutivi del luogo e del patrimonio del luogo, abbiamo necessità di usare i saperi del tempo (e certamente tra questi la storia) per imparare il luogo e dal luogo.
Se patrimonio, tradizione, identità si costruiscono a partire dal presente e dalle scelte che nel presente le società e i gruppi sociali elaborano per definire e ridefinire le proprie memorie e i propri processi collettivi di acculturazione, risulta decisiva la competenza a comprendere le dimensioni contaminate e integrate di questi processi, a riflettere criticamente su caratteristiche, tempi di costruzione e usi sociali, a costruire diverse modalità di fruizione e nuovi valori simbolici di quegli stessi luoghi che oggi sono abitati da nuovi cittadini in società socialmente e culturalmente sempre più multietniche ed eterogenee. E ancora una volta la storia e i suoi strumenti di lettura e di interpretazione risultano preziosi.
Una storia che non sia la nostra storia, ma come abbiamo detto la storia di tutti.
Così come il patrimonio, che per essere veramente tale deve essere eredità e munus dell’umanità tutta intera.

Riferimenti bibliografici

Aa.Vv., L’immagine dell’Europa nei manuali scolastici di Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Italia, Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, 1994.
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Procacci G., La memoria controversa. Revisionismi, nazionalismi e fondamentalismi nei manuali di storia, AM&D edizioni, Cagliari, 2003.
Revelli M., “Luoghi, non-luoghi, iper-luoghi. Fenomenologia dell’esser ‘fuori luogo’”, in R. Bertoni, R. Ranieri, (a cura di), Globo conteso. Testi, Comune di Venezia, 2000.
Stradling R., Teaching 20th-century European history, Council of Europe Publishing, 2001.

 

Ernesto Perillo ha insegnato storia e italiano negli istituti superiori. Dal 1982 è stato ricercatore presso l'IRRSAE del Veneto e l'IRRE Veneto, occupandosi di didattica della storia, educazione interculturale ed educazione degli adulti. Attualmente fa parte dell'Associazione "Clio '92" e coordina il gruppo di ricerca Clio sull'insegnamento della storia in dimensione interculturale. Tra le sue pubblicazioni recenti: "La Shoah e il nazismo" (Polaris, Faenza, 2002); con Gadi Luzzatto Voghera, "Pensare e insegnare Auschwitz" (FrancoAngeli, Milano, 2004)