Il mediatore museale, da guida a facilitatore di scambi interculturali

Maida Ziarati

2007

D.: Nel corso della storia, i musei sono stati utilizzati per escludere chi “non appartiene” e per creare gerarchie tra diverse culture. Facendo riferimento alla tua esperienza nell’ambito del percorso formativo promosso dalla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, in che modo il mediatore culturale può contribuire a ribaltare questa prospettiva?

A mio parere i musei continuano ancora oggi ad escludere chi “non appartiene” e lo spazio che danno alle culture “altre”, soprattutto quelle molto diverse o lontane da quella occidentale, è molto scarso. Allestimenti e attività per il pubblico sono poco allettanti e difficili da capire per la maggior parte degli stranieri. L’altro fattore cruciale è l’atteggiamento non sempre disponibile e/o accogliente del personale di servizio dei musei. Tale atteggiamento scoraggia le persone di origine immigrata, che si sentono inadeguate ad entrare in un luogo sentito al di là della loro portata. Il corso promosso dalla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea (GAMeC) non ci ha formato per essere delle guide, ma per diventare, appunto, i mediatori fra la nostra gente e il museo, che rappresenta il luogo, il Paese, la cultura in cui viviamo. Saremo noi, spero, lo strumento per avvicinare culture diverse, per salvaguardarle offrendo alle comunità immigrate e autoctone dei mezzi culturali per potersi muovere in un ambiente culturale nuovo. Quello che deve avvenire è uno scambio alla pari tra individui con appartenenze culturali diverse. Il compito di noi mediatori culturali è di abbattere, strada facendo, i pregiudizi, gli stereotipi, le diffidenze, le paure dell’altro, e cercare di far sbocciare tutto quello che vi è di bello nella diversità culturale in modo da generare un cambiamento costruttivo.

D.: In che modo, secondo te, è possibile far emergere elementi vitali per il dialogo interculturale da un’opera (ad esempio un dipinto, ma non solo) radicata in una tradizione storica e culturale apparentemente comprensibile solo a chi “ne fa parte”?

Il dialogo interculturale può avvenire solo promuovendo la conoscenza. Chi lavora in un museo deve riconoscere che i messaggi veicolati attraverso la selezione, l’esposizione, l’interpretazione di un oggetto non sono neutrali, che siamo ancora lontani da una vera comprensione interculturale, anche se stiamo facendo i primi passi. Nelle sue opere un artista esprime ciò che ha vissuto, le cose in cui crede, il rapporto con il suo ambiente e con il suo tempo, e per capirlo non è sufficiente studiare solo il movimento, le pennellate, i colori ecc., ma bisogna conoscere a fondo anche il mondo culturale da cui proviene. Poche persone sanno, per esempio, che nel mondo islamico non è permesso raffigurare le persone o gli animali per motivi religiosi, perciò l’arte islamica è fatta soprattutto di forme geometriche o calligrafie artistiche oltre alla pittura e alla scultura. Le opere e le testimonianze custodite in un museo non solo ci avvicinano alle culture diverse dalla nostra, ma ci aiutano a smentire i pregiudizi che le circondano. Credo nel museo come luogo di interazione, di scambio e di conoscenza reciproca.

D.: Stai organizzando la tua prima visita guidata alla GAMeC per la tua comunità di riferimento: quali obiettivi ti poni, come pensi di coinvolgere il gruppo che guiderai, che percorso di visita scegli… ?

Non ho ancora fatto nessuna visita guidata dopo la conclusione del corso, ma so che dovrò essere molto flessibile, adattandomi di volta in volta alla situazione, essere accogliente nei confronti del mio gruppo, cercando di mettere tutti a loro agio e di trattarli come interlocutori preziosi, in grado di dare e ricevere informazioni contemporaneamente. Le mie comunità di riferimento sono due: la comunità araba (soprattutto le donne) e quella iraniana, cui appartengo. Con le donne arabe che vivono in Italia si tratterà di un lavoro molto complesso, perché l’analfabetismo è purtroppo ancora molto diffuso: portarle al museo sarà magari fattibile, ma difficile mantenere una continuità. I miei obiettivi saranno all’insegna del divertimento, dell’impatto visivo, dell’esplorazione dei colori, stimolando l’interesse dei miei interlocutori per poi dare loro informazioni che siano in grado di comprendere, vicine al loro modo di essere, ma che allo stesso tempo gettino un ponte tra la loro cultura e quella del Paese in cui hanno messo nuove radici; in poche parole, aiutarli a trovare radici comuni per non sentirsi soli, ma un tassello di un grande mosaico tutto colorato. Con la comunità iraniana la visita deve essere pensata e condotta diversamente, perché si tratta di individui con un livello medio d’istruzione elevato, animati da un grande desiderio di conoscere e capire, e per i quali il museo è un luogo familiare. Per loro punterò sulla bellezza, che nella nostra cultura è di vitale importanza. Li coinvolgerò sollecitandoli a condividere le loro conoscenze sulla vita artistica contemporanea in Iran, così poco conosciuta, e aiutandoli a individuare similitudini con quella con cui entrano in contatto al museo. Io credo di poterlo fare, essendo una mediatrice museale e non una guida.

D.: Secondo te che cosa manca o che cosa non dovrebbe mancare in un museo affinché la convivenza tra persone con patrimoni culturali diversi sia una ricchezza e non un motivo di tensione?

Quello che non dovrebbe mancare in un museo è la conoscenza e il rispetto.
La conoscenza, in quanto credo che i problemi nascano spesso dal fatto che ignoriamo la cultura, la storia, la tradizione, la politica, la religione dell’“altro”, straniero o italiano che sia, e che queste lacune stiano creando tensioni e paure infondate.
Il rispetto, attraverso un’interazione che contribuisca al passaggio dal concetto di diversità a quello di pluralismo culturale. In tutto questo i musei svolgono un ruolo di catalizzatori, di mediatori che generano sviluppo.

Maida Ziarati, iraniana di Teheran, è laureata in biologia, sposata con un medico chirurgo iraniano e madre di due figli nati e cresciuti in Italia. Prima di approdare in Italia ha vissuto in Paesi diversi, parla diverse lingue, e da qualche anno lavora come mediatrice interculturale, una professione che afferma di amare moltissimo, pur con i suoi alti e bassi. Ha lavorato nel carcere di Bergamo, con i minori, con le donne straniere (alfabetizzazione); fa interventi nelle scuole e presso lo sportello dell'ufficio alloggi, traduzioni e molto altro ancora. Nel 2007 ha frequentato e brillantemente conseguito il diploma del corso per mediatori museali promosso dalla Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo