Mediazione culturale e mediatori come parte attiva nei processi di integrazione

Biljana Dizdarevic

2011

Alcune riflessioni riguardo il Premio“Lost in Translation. Arte e Intercultura”

Pubblichiamo la testimonianza di  Biljana Dizdarevic, che con Maida Zairati (entrambe mediatrici museali della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo) ha fatto parte del Comitato Scientifico incaricato di valutare i progetti selezionati per il concorso “Lost in Translation. Arte e Intercultura”, promosso da Connecting Cultures e Fondazione Ismu – Settore Educazione – Patrimonio e Intercultura. Il testo è un contributo prezioso per una riflessione profonda e attenta sui temi e sulle problematiche della mediazione in chiave interculturale

Una premessa. Non avendo avuto esperienze simili in passato, noi mediatrici abbiamo avuto alcune difficoltà iniziali nell’individuare gli elementi e gli indicatori utili ai fini della valutazione dei progetti presentati al concorso “Lost in Translation”. Perciò ci siamo affidate semplicemente alle nostre esperienze personali e professionali, maturate lungo anni di vita e di attività  lavorativa in Italia.
Grazie all’impegno di alcune istituzioni culturali (scuole, musei, gallerie d’arte…) si aprono nuove strade e opportunità di lavoro con il cittadino di altre culture, portatore di valori, non più oggetto ma soggetto, parte attiva negli processi di integrazione socioculturale.
Il mediatore culturale, con le sue competenze e conoscenze acquisite nel tempo, inizia ad avere un ruolo importante nelle fasi progettuali ed esecutive di tutte le attività che riguardano gli incontri, la comunicazione e le relazioni tra individui o gruppi appartenenti a culture diverse, cercando di dare un suo contributo al miglioramento della vita in un determinato territorio.
La mancanza di competenze marcate, di vincoli e condizionamenti disciplinari ci ha permesso di creare liberamente uno  spazio nuovo, “terra di mezzo”  con infinite possibilità di interpretazione.
In questa relazione abbiamo cercato semplicemente di esporre alcune riflessioni emerse durante il nostro lavoro. Utilizzando strumenti multidisciplinari e critici abbiamo preso in considerazione le seguenti aree: mediazione culturale, intercultura, la persona nella sua complessità.

“Intercultura” (interazione, interscambio) tra le diversità
Evitare la creazione degli stereotipi per poterli combattere.
Purtroppo la parola “intercultura” viene spesso usata e abusata nei discorsi riguardo la globalizzazione, la società democratica e il pluralismo culturale; il suo significato può essere oggetto di diverse interpretazioni. Per comprendere a fondo il concetto di intercultura e diversità abbiamo attivato tra noi il dialogo, l’ascolto, lo scambio, l’empatia in quanto strumenti interculturali, applicando la ricerca all’interno del nostro patrimonio personale,mettendoci in gioco di persona. “Interculturando” tra di noi con tutta la nostra diversità, abbiamo cercato di entrare nei progetti del concorso e viverli da veri protagonisti.
All’inizio del nostro dialogo interculturale ci siamo rese conto delle difficoltà di comunicazione tra noi. Questo era dovuto al fatto (più inconsapevole che razionale) che ognuna di noi tendeva ad interpretare il profondo e nascosto significato di parole, segni, simboli, attraverso le proprie categorie mentali e culturali. Per poter superare questa difficoltà e per diventare consapevoli delle dimensioni soggettive proprie e dell’altro, abbiamo cercato di costruire una “zona franca“ che permettesse ad entrambi di comprendersi, indipendentemente dalle convinzioni reciproche, o dai pregiudizi (nascosti).
Per definire il proprio, diverso punto di vista abbiamo aperto un discorso sulla identità, l’alterità, discorsi che riguardano relazioni interpersonali basati sul riconoscimento, il rispetto, la fiducia reciproca. Abbiamo cercato: nel nostro passato, nella nostra memoria e nella conoscenza, nei sentimenti e nel riconoscimento del proprio “io” che ci distingue dagli altri e che ci rende persone uniche, originali e irripetibili. Per ottenere i risultati desiderati e definiti precedentemente bisogna partire dalle differenze, stimolando e aiutando tutte le persone coinvolte nella attività ad impegnarsi allo stesso modo: la diversità come fonte di ricchezza, di motivazione e di volontà.
I progetti che hanno come obiettivo il cambiamento e la trasformazione nella società pluralista e multiculturale devono prestare una particolare attenzione a non creare modelli uniformi e stereotipi che tendono con il tempo a cancellare la nostra particolarità e autenticità. Oltre a stimolare il pensiero critico, riguardante i giudizi negativi, gli stereotipi e i pregiudizi, devono essere in grado di fare chiarimenti sulle false mitologie di purezza e di integrità culturale, spesso create deliberatamente come meccanismi sofisticati di manipolazione.
“Noi – Voi: distinzione, separazione e divisione” inducono all’idea delle frontiere, di rigidi confini e di immutabili barriere (fisiche, mentali, emotive) tra le culture e i popoli. La cultura e i confini visti nella chiave storico-artistica sono in un continuo cammino, si evolvono e cambiano, diventando dei flessibili passaggi nel tempo e nello spazio, aperti all’incontro, alla relazione, allo scambio reciproco, diventando una opportunità e una strategia per prevedere possibili scontri e conflitti: stimolare e liberare pensieri creativi e innovativi è uno dei compiti fondamentali dei progetti.

Integrazione: tra assimilazione e convivenza pacifica, civile
Disintegrarsi per potersi integrare? Che cos’è veramente l’integrazione? Quali sono i suoi scopi reali? Integrazione come un processo di apprendimento (di norme, dei valori, dei modelli di comportamento) per una trasformazione personale o come offerta di nuovi riferimenti per cambiare e sostituire quelli precedenti?
Quando si programma e si compie una qualsiasi azione nell’ambito dell’integrazione è necessario individuare con chiarezza tutti i segmenti e le dinamiche del fenomeno, quelli legati alla sua composizione e articolazione territoriale, e quelli che riguardano le persone coinvolte e le complesse relazioni tra individui.
Abbiamo evidenziato alcune riflessioni:
“Integrarsi e integrare”: dove? Nelle circostanze naturali e socioculturali in quanto fattori oggettivi che condizionano percorsi e cambiamenti? Per esempio, integrarsi nella nostra società democratica basata sui principi condivisi del pluralismo e del liberalismo, ma anche in una società razionale individualista, competitiva e consumistica. Per integrare che cosa? Nuovi modelli di pensiero, di comportamento (migliori?), nuovi modi di vivere, o sopravvivere?
L’integrazione non deve essere un obbligo, una costrizione, ma un’apertura e una possibilità (prospettiva) verso un cambiamento che coinvolge italiani e stranieri con lo stesso impegno ed entusiasmo. Deve essere intesa come un processo, con il suo graduale sviluppo, con la priorità della permanenza. Purtroppo i progetti sono spesso degli episodi saltuari con obiettivi teorici molto generici che, con tempi dilatati e lunghi processi di cambiamento e di trasformazione sociale, non permettono di prevedere le reali conseguenze.

La persona (nella sua integrità)
Tra i bisogni e le risorse della persona.
L’integrazione socioculturale, vista come un profondo e irreversibile cambiamento “dell’individuo-persona”, apre uno spazio importante sull’aspetto psicologico del fenomeno. La persona deve essere vista in tutta la sua complessità, quella razionale (conoscenza, consapevolezza, coscienza) e quella irrazionale (affetti, emozioni e sentimenti), meno presa in considerazione ma fondamentale per la persona, la sua vita e il suo senso di benessere.
Bisogna comprendere quali sono i particolari meccanismi psicologici, le risorse e i limiti, i punti di forza e quelli di fragilità, che vengono esaltati in momenti particolari della vita umana, in occasione della migrazione, del distacco dal proprio paese e dalla vita precedente.
Abbiamo esplorato nel profondo delle persone alla ricerca della personalità e della loro identità intesa come “quadro di riferimento”, che agisce come un filtro e una griglia (soggettiva) dei valori e dei criteri costruiti durante la vita in un determinato ambiente, che le guida e indirizza nelle loro scelte.
Abbiamo steso un piccolo schema (per nostro uso) che rappresenta alcuni aspetti di fragilità.

Migrazione/spostamento fisico e mentale: traumi emotivi e sofferenze psicologiche.
– perdita di riferimenti: disorientamento; confusione; insicurezza; paura; senso di inferiorità, inadeguatezza; incapacità;
– reazioni possibili (conseguenze):
· avversione: rifiuto, rabbia, aggressività, violenza;
· chiusura: ghetto, ritorno al passato (origini, radici) e ai suoi riferimenti personali e culturali;
· indifferenza: mancanza di ogni stimolo all’azione.

Come si possono strutturare i progetti per dare la possibilità all’individuo di superare questi disagi personali e trasformarli in qualcosa di positivo per la persona e per la società, in modo da riattivare quel senso di autostima e di dignità umana?

Sicuramente una delle tante risposte si trova nel riconoscimento, rispetto e fiducia reciproca; rispetto inteso come attenzione, considerazione, come elemento di ogni rapporto tra individui.
Per esempio, una forma di forte stimolo per mettersi in gioco ed esprimere le varie personalità dell’individuo può essere il capovolgimento di approccio verso i migranti: non più come persone svantaggiate, deboli, inferiori, ma donne e uomini “con una marcia in più”, guidati dai loro sogni e bisogni, che tra attese e speranze alimentano quotidianamente la loro determinazione con una quantità di vitalità e di energia straordinaria.
Stimolando queste energie positive (volontà e motivazione) con entusiasmo, curiosità e interessi in ambienti culturali e utilizzando la ricchezza dei linguaggi e delle modalità artistiche, possiamo aprire vere sorgenti di preziosi valori umani. Progetti validi sicuramente sono quelli che possono dare occasione, agli immigrati e agli italiani, di vivere ed esprimere altre facce del loro essere, quello spirituale e artistico, potendo così uscire dalle gabbie stereotipate e dalla immagine folcloristica.

L’autonomia e la libertà come stimolo positivo: l’uomo libero, l’uomo felice.
Libertà: intesa come lo spazio bianco che permette di muoverci con autodeterminazione tra il dovere, il potere e il volere:
· libertà interna: “adeguamento alle leggi della ragione-moralità”, autocontrollo;
· libertà come apertura di sé: “autorealizzazione”;
· l’autonomia di scegliere anche semplicemente: tempi, modi, forme, livelli e quantità di agire.
Partendo dall’assunto di questa concezione di “persona”, l’analisi dei progetti ha valutato di volta in volta se gli individui coinvolti (artisti, pubblico, abitanti, operatori) fossero stati presi in considerazione come portatori di complessità, come “micce” di un possibile dialogo, o come semplici pedine funzionali al servizio di idee ambiziose ma rinchiuse.
Cercare di articolare progetti in modo flessibile, per stimolare, incuriosire, “sedurre” e “divertire” anche in modo giocoso… perché no? Per noi i progetti  importanti sono anche quelli meno complessi e sofisticati, semplici, con un profondo significato della “banalità” intesa come quotidianità, semplicità; che riescono a stimolare e coinvolgere, toccare e muovere qualcosa in maniera immediata e poco invasiva.
Progetti che danno occasione agli immigrati di vivere ed esprimere altri volti del loro essere:  quello spirituale, creativo e umano, potendo così uscire dalle gabbie stereotipate e dalle immagini folcloristiche. Poiché il nostro campo di azione riguarda l’essere umano e la società in continuo cambiamento ed evoluzione, è indispensabile rivisitare, riorganizzare e rimodellare costantemente i concetti di progettazione, in nuove chiavi di lettura che ci permettano un lavoro efficace.

Biljana Dizdarevic è Mediatrice museale, Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo; mediatrice culturale presso istituti scolastici, ospedali, enti pubblici, gallerie d'arte e per progetti che si occupano di migrazione e integrazione