(Il testo riprende le riflessioni elaborate su questo stesso tema dall’Autrice in Il processo formativo tra potenziale di conoscenza e reti di saperi. Un contributo di riflessione sui processi di costruzione di conoscenza, Firenze, Firenze University Press, 2007, e soprattutto in Dall’ambiente all’educazione. Materiali di studio tra teoria, metodologia e pratiche, Edizioni Del Cerro, Tirrenia, 2007).
Il Museo è uno spazio di costruzione di competenze interculturali? Intercultura è dialogo, ovvero comunicazione, relazione tra punti di vista diversi, complementarietà delle visioni, ma anche capacità di integrare in una prospettiva nuova una lettura della realtà di vita. Se si parte da questo assunto, i luoghi per costruire intercultura sono molti, disseminati. Sono i luoghi della relazione, o dove questa dovrebbe o potrebbe avvenire in forma mediata, tra le differenti attribuzioni di significato alla stessa realtà, di incontro tra punti di vista diversi, che possono produrre inclusione, ma anche essere causa di esclusione ed emarginazione.
In questo senso anche un museo è territorio di mediazione, di incontro e confronto, di prestiti e scambi: il museo sembra essere di per sé luogo della relazione tra saperi diversi.
La mediazione del museo
I musei possono sicuramente essere interpretati, considerati, come luoghi che esprimono un’identità complessa. Sono luoghi di oggetti e di idee, e dunque di saperi, espressione della produzione materiale e immateriale di una cultura: tuttavia il museo non è un luogo nel quale poter ritrovare descrizioni di una cultura, ma luogo che contribuisce alla conoscenza e interpretazione di ambienti e culture, e consente di leggere e individuare nessi e relazioni, che peraltro nella realtà non sempre possono essere immediate ed evidenti. È uno spazio che decontestualizza gli oggetti, li isola, li evidenzia e nel far questo li mette in relazione, pone in primo piano o in secondo piano, in funzione del messaggio che intende comunicare, o anche delle conoscenze che intende sollecitare, e che l’utente/osservatore potrà costruire.
Il museo non può che richiamare, suggerire, attraverso sempre più sofisticate procedure e tecniche di ordinamento e allestimento che attengono alla museografia, le relazioni, i nessi che collegano gli oggetti esposti. Ma rappresenta un contesto che di fatto si configura in termini di luogo di incontro tra saperi diversificati: tra l’invisibile dei saperi immateriali, cui rimandano gli oggetti, e le differenti letture, interpretazioni, attribuzioni di significati che ne possono esser date attraverso l’allestimento, e che entrano in relazione con i saperi di coloro che ne fruiscono. Tre componenti fondamentali, che danno senso ad ogni situazione espositiva e che sono necessariamente connotate culturalmente. I musei, del resto, non hanno senso solo in quanto “depositi” di patrimoni di per sé significanti, ma la loro importanza risiede nel fatto che devono aiutare il proprio pubblico a sfruttare questi patrimoni di conoscenze al fine di costruire nuovo sapere e nuove attribuzioni di significato.
Saperi degli oggetti, saperi dei curatori e degli operatori, saperi dell’utenza devono dunque entrare in relazione.
Questa considerazione richiama il protagonismo dell’utente nella sua esperienza di visita e di attribuzione di significati agli oggetti. È l’utente che sovrappone o meglio attribuisce un’ulteriore interpretazione agli oggetti, sulla base delle proprie conoscenze. Il ruolo attivo dell’osservatore è dunque imprescindibile e consente di interpretare i musei come strumenti coerenti di azione educativa, anche di un’educazione interculturale che si avvalga degli oggetti come espressione di una cultura per offrirli allo sguardo di chi appartiene ad un’altra. Soprattutto quando l’utente è espressione di una cultura “altra”, e quindi di un sistema di attribuzione di significati differente, di un codice interpretativo diverso da quello che ha guidato le scelte espositive, presentare un oggetto, un fatto culturale pregnante e creare le condizioni, espositive e di accompagnamento, affinché l’osservatore vi si possa confrontare, è sicuramente un percorso assai più rispettoso e stimolante di una spiegazione esplicita.
Lasciare parlare gli oggetti e creare un contesto che consenta la comunicazione, favorendo l’avvio di un dialogo e di un confronto, può attivare altre narrazioni, può innescare meccanismi di comprensione diversa, più partecipata, della differenza e dell’alterità, portando a trovare legami laddove si pensava non vi potessero essere. Gli oggetti, in quanto espressione di un’identità, perché appartengono ad un patrimonio, stimolano riconoscimento, ri-trovamento, sollecitano ricordi e creano legami: tra passato e presente, tra diversi presenti, non sempre sincroni, ma legati a contesti culturali, a luoghi e storie.
Tutto questo non avviene senza una mediazione consapevole che faciliti l’incontro e la creazione di legami tra soggetti e oggetti.
Affinché si realizzi comunicazione, lo spazio espositivo può e deve essere considerato non in termini di “realtà data”, ma di realtà da co-costruire dinamicamente, il cui significato è possibile ridefinire e ri-negoziare socialmente, organizzandola mentalmente attraverso reti attribuzionali di significati socio-culturalmente coerenti rispetto ai campi esperienziali e alle elaborazioni concettuali dell’utenza. Così i saperi contenuti negli oggetti, nei segni presenti nel museo, possono acquisire una valenza soggettiva, legata alle differenti interpretazioni fornite dai partecipanti, e nel contempo mantenere il proprio valore oggettivo, legato all’uso, alla funzione, ma anche ai contesti specifici di produzione e fruizione.
L’attivazione del soggetto/utente non è certamente operazione semplice. Un ruolo focale può essere giocato dalla dimensione percettiva ed emozionale: sollecitare e valorizzare le emozioni che avvicinano ad un oggetto significa partire da ciò che interessa e attrae l’utente, e quindi da contenuti/segni in grado di innestarsi più facilmente nel campo motivazionale del soggetto e dei suoi schemi mentali per mettere in moto meccanismi di lettura e interpretazione su cui costruire nuove conoscenze. Soprattutto in situazioni di confronto intercultuale, l’approccio per guidare alla lettura del museo dovrebbe essere sostanzialmente indagativo, di scoperta: non fornire a priori interpretazioni, significati e contenuti, con il rischio implicito di aumentare anche il senso di una relazione asimmetrica e di dipendenza culturale e intellettuale, ma aiutare i soggetti nel processo di attribuzione di significati inizialmente sulla base dei propri schemi mentali e del proprio personale patrimonio conoscitivo.
I saperi delle tre componenti, dunque, devono non solo entrare in relazione, ma essere anche parti interagenti di una situazione simmetrica, senza diverse attribuzioni di valore. Gli oggetti/segni presenti in una situazione espositiva, qualunque essi siano, non rimandano a saperi che aprioristicamente hanno un’importanza e un valore diverso rispetto ai saperi messi in campo dal soggetto che intende esplorarli e conoscerli. In questo senso i saperi contenuti negli oggetti non richiedono di essere semplicemente trasmessi, ma letti, compresi grazie al confronto tra interpretazioni e attribuzioni di significato diverse e reciprocamente arricchenti, che nulla tolgono al valore dell’oggetto in sé, alla sua connotazione culturale e alla funzione assolta sia in origine sia nel contesto espositivo.
In questo senso diventa fondamentale in termini di possibilità interpretativa degli oggetti e degli spazi espositivi non solo la funzione dell’apparato epitestuale, ma anche i saperi e i significati di cui è portatore l’operatore, chiamato a giocare il ruolo non tanto di “guida” esperta dei contenuti disciplinari cui rimandano gli oggetti esposti, quanto di professionista in grado di accompagnare un processo di apprendimento: non un accompagnamento anonimo e contenutistico, ma un’opportunità mirata di accesso a conoscenze specifiche in grado di rendere intelligibili i segni presenti, nella misura in cui gli schemi interpretativi e i significati posseduti dai partecipanti risultano insufficienti o comunque richiedono spazi di confronto.
La funzione dell’operatore viene così a delinearsi in termini di facilitatore di processo, ma anche parte integrante nella costruzione di trame di significato. Una presenza necessaria che deve disporre di adeguate competenze, che non si esauriscono nella capacità di entrare in sintonia con i partecipanti attraverso un procedere empatico, comunque necessario, e che trova espressione nell’ascolto attivo e partecipato. Si tratta piuttosto di una competenza metodologica complessa di gestione totale del processo. Il protagonismo della terza componente della relazione che il museo può creare, ovvero l’utenza, richiede una attenzione ai messaggi, alle azioni e alle reazioni: una situazione sicuramente complicata dalla prospettiva interculturale, che impone l’esigenza di avvalersi di strategie specifiche.
Se tutto questo sottolinea una valenza diversa dei musei e una riflessione sulla formazione degli operatori dei musei, potenziali efficaci mediatori tra attribuzioni di significati e costruzione di nuove competenze interculturali, prefigura anche la possibilità di pensare a spazi e tempi dedicati nel museo e nelle esposizioni alla relazione interculturale, con il supporto e il coinvolgimento di figure specializzate quali i mediatori culturali. Un possibile e nuovo servizio educativo per la comunità e per la scuola.
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