Strane voci al museo

Angela Trevisin
Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna
2010

Spesso si usa dire che il museo è un luogo di incontro, di narrazione, è un luogo di segni e significati. Questa è la storia di alcune voci che dentro al museo si sono incontrate, che hanno prodotto suoni e significati, che sono servite a “fare” museo oltre che a “dire”.
Nell’ambito dell’allestimento della nuova mostra temporanea inaugurata al Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna (Tv), “Alimenta. Il cibo tra scienza e cultura”, abbiamo deciso di riservare una piccola sezione dell’esposizione al tema del cibo come cultura. Volevamo con questo far riflettere su quante e quali narrazioni, storie e idee veicoliamo attraverso il cibo, sia in una dimensione diacronica che geografico-spaziale.
Il cibo come incontro di culture, anche. Un tema che ha accompagnato il nostro fare museo negli ultimi anni, con una particolare attenzione alle modalità messe in atto per far fruire il patrimonio culturale del museo secondo questa prospettiva. Una serie di iniziative e attività sono confluite in una progettualità di più ampio respiro, che nell’anno 2009-2010 ha preso forma in “Museo: un tappeto tra mondi”, coinvolgendo l’Assessorato alla Cultura e quello ai Servizi Sociali, circa 200 cittadini migranti, cinque mediatrici culturali, la cooperatva “Una casa per l’Uomo” e la rete per l’integrazione degli alunni stranieri “Scuolaacolori” di Montebelluna.
Alla luce di questo percorso, la sala “Il cibo è cultura” nell’allestimento della nuova mostra intendeva dare forte risalto a tematiche interculturali. Così nella sala si può giocare a “Indovina chi… viene a cena” mettendosi nei panni di donne e uomini di oggi e del passato e dei diversi continenti, cercando, attraverso le abitudini alimentari e le modalità di assunzione del cibo di scoprire chi siamo. Ancora, un pannello illustra le abitudini alimentari e i tabù nonchè i divieti religiosi esplicitati da norme contenute nei testi sacri delle grandi religioni monoteiste: ebraismo, islamismo, cristianesimo.
Ci sembrava interessante che i visitatori potessero sia leggere in traduzione alcuni passaggi chiave contenuti nei testi sacri, sia ascoltare la lettura di questi brani in lingua originale, in ebraico e in arabo.
Per l’individuazione dei brani più significativi del Corano, riconducibili ai temi della mostra, iniziamo una forma di collaborazione con un’associazione culturale marocchina presente nel comune di Montebelluna, e che ha la propria sede a pochi passi dal museo. Mi incontro più volte al museo con Abdellah, presidente dell’associazione. Leggiamo insieme i testi previsti per il pannello e ne condividiamo l’impostazione e il contenuto. Poi, Corano alla mano, Abdellah mi spiega il senso dei passaggi che secondo lui sono importanti, mi spiega il rapporto nell’islam tra tradizione e religione: scopro tutta la mia ignoranza, la mia superficialità, i miei luoghi comuni. Penso: che fortuna il museo che ci ha fatti incontrare.
Decidiamo che sia uno dei membri dell’associazione a leggere e registrare la voce: in mostra, tramite l’ausilio di cuffie, il visitatore potrà ascoltare i brani da noi selezionati.
È un giovedì di novembre, all’ora di pranzo arriva Sallahddine. È la prima volta che entra al museo, pur vivendo con la famiglia a Montebelluna da un po’ di tempo. Fa un po’ fatica a parlare italiano, ma ci capiamo. Mi dice che ha fatto delle prove di registrazione usando il suo cellulare, ma che, non soddisfatto della resa, sì è procurato un mp3 da dei cinesi. L’mp3 ha il menù in cinese (ambiguità della lingua italiana: mostra sull’alimentazione…), quindi ci risulta del tutto inutilizzabile. Spiego a Sallahdine che noi abbiamo tutti i mezzi e che glieli posso lasciare se vuole fare la registrazione con i suoi compagni dell’associazione. Insiste sul fatto che vuole usare il suo mp3 e che chiederà ad un collega di lavoro, cinese, di aiutarlo. Ci diamo un appuntamento al museo per la settimana successiva, finito il lavoro, per riascoltare le sue prove ed eventualmente registrare la versione definitiva nel silenzio serale del museo.
Mercoledì sera, al museo. Siamo alle battute finali dell’allestimento, stiamo lavorando di sera, anche dopo cena da alcuni giorni. Avevo dato l’appuntamento alle 19.00, ma non arriva nessuno.  Penso, con i pregiudizi che, pur occupandomi di intercultura, subdoli, hanno più forza di me, delle mie letture, delle mie riflessioni “corrette”: sono marocchini, se ne sono dimenticati, inaugureremo la mostra senza voci registrate. Mangiamo una pizza al museo, in fretta e furia per continuare l’allestimento. Alle nove suona il citofono. Chiedono di me. Salgono le scale Sallahdine e un suo amico, Hassan. Sono stupita e in imbarazzo per i miei pensieri di due ore prima.
Anche per Hassan è la prima volta al museo e sembra particolarmente entusiasta, ha un sorriso contagioso. Ci mettiamo attorno ad un tavolo. Dico loro che li aspettavo alle sette e che ormai non ci speravo più. Sallahdine mi risponde che forse non ci siamo capiti, che lui aveva detto alle nove, non alle diciannove. Penso alle distanze tra le lingue, agli equivoci.
Oggi mentre scrivo penso a quel fatto di cronaca che fa sì che un’intercettazine telefonica tradotta male possa far finire in carcere chi non ha colpa. Penso a quanto ancora ci resta da fare per colmare distanze.
Resta con noi al tavolo anche Francesco, il grafico che ha tradotto in immagini i nostri pensieri di intercultura, realizzando uno splendido planisfero costituito dalle cinque principali produzioni agricole di ogni area del continente e che più di mille parole restituisce l’idea di biodiversità, che scardina luoghi comuni di un’Africa fatta di banane e manioca e di un Brasile di caffè… Francesco è incuriosito dalla presenza di due marocchini, dopo cena al museo.
Sallahdine lavora alle celle frigorifere di un supermercato; per questo, nonostante le mie insistenze, non si toglie la giacca: ci mette un bel po’ a sentire il caldo. Hassan invece fa il piastrellista.
Tutti e due hanno fatto un gran lavoro per noi, hanno trascritto a mano i brani che Abdellah e io avevamo individuato, in modo da non far sentire il rumore delle pagine durante la registrazione. Decidiamo comunque di fare un’ultima registrazione definitiva. A Francesco chiediamo di introdurre i numeri dei versetti, mentre Hassan legge cantando il Corano e Sallahdine scandisce i tempi.
È un momento molto intenso. Sono contenta di questo incontro di voci, sono contenta dell’impegno e della partecipazione che ognuno ci sta mettendo. È la forza del museo.
Alla fine dopo due prove abbiamo la versione definitiva, perfetta: sono le 22.30. Sallahdine confessa che non sapeva che Hassan conoscesse così bene l’italiano, tutti e due dicono a Francesco che ha una bella voce e che ci può fare qualcosa. Ridiamo e io insisto con loro sul fatto che questo è uno dei ruoli chiave del museo: far incontrare le persone e far emergere potenzialità che non sappiamo di avere.
Il mattino dopo sono a casa di Amos Luzzatto, presidente della comunità ebraica di Venezia, già presidente delle comunità ebraiche in Italia che ha dedicato un’intera vita al dialogo tra culture, tra religioni. Anche lui ci regala la sua voce, mi racconta delle sue esperienze da giovane alla radio di Gerusalemme e molto altro. Ha individuato dei passaggi del Levitico utili al nostro allestimento. Registriamo. Gli racconto della sera prima, delle voci del Corano.
Lo ringrazio e penso a tutti i visitatori che verranno in museo, all’opportunità  che avranno di ascoltare, di farsi suggestionare da queste voci. È una pratica di intercultura, piccola, ma che rende concreta l’idea di museo come luogo delle storie, della storia.

Angela Trevisin è responsabile del Centro di Documentazione all'interno del Museo di Storia Naturale e Archeologia di Montebelluna (TV). Si occupa della gestione di progetti educativi che coinvolgono il museo di Montebelluna e altri enti