Arte dei margini. Collezioni di Art Brut, creatività relazionale, educazione alla differenza

G. Mangiapane, A. M. Pecci, V. Porcellana (a cura di) | (2013)

I contributi raccolti nel volume Arte dei margini trovano nel progetto “L’arte di fare la differenza” (AFD) il contesto o il pretesto della loro origine. Le autrici e gli autori dei saggi sono infatti o attori di progetto, chiamati a testimoniare e documentare la loro partecipazione, o studiosi, ricercatori ed esperti esterni invitati a integrare, con le loro esperienze e competenze, la prospettiva interdisciplinare con cui si è scelto di restituire il processo partecipato e parte degli esiti raggiunti.
Diviso in tre parti, il volume illustra con quali modalità arte, antropologia, educazione si sono contaminate all’interno del progetto.

La prima parte – “Collezioni di Art Brut e disagio”, a cura di Gianluigi Mangiapane – contiene i contributi che trattano il disagio rappresentato nelle collezioni di Art Brut, come quella conservata presso il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università degli Studi di Torino, (s)oggetto del progetto su cui si è lavorato durante il percorso creativo. Qui si propongono confronti con collezioni simili conservate in altre realtà museali o con opere e autori molto diversi, e si analizza il contesto storico, culturale e scientifico in cui i manufatti del Museo sono stati prodotti. Sia il contributo di Fabio Cafagna sia quello di Lucienne Peiry mirano a storicizzare la collezione, confrontandola con altre che si trovano in sedi museali europee e sottolineandone l’importanza artistica. Davide Tabor spiega invece le motivazioni storiche che hanno portato alla nascita delle prime produzioni “artistiche” nei manicomi, adottando un taglio di genere che sembra possa aprire ulteriori prospettive sull’effettivo disagio vissuto nei manicomi. L’ultimo contributo, di Gianluigi Mangiapane, vuole illustrare in dettaglio la collezione di Art Brut di Torino, le motivazioni storiche e scientifiche per cui tale raccolta si presenta in un museo fortemente connotato da ricerche antropologiche, e contemporaneamente mostrare come, all’interno dell’Istituzione, ci sia stata una riflessione che ha portato a riconsiderare questi oggetti da materiale di studio a manufatti artistici.

La seconda parte – “L’arte di fare la differenza: il contesto storico, socioculturale, artistico”, a cura di Anna Maria Pecci – presenta contributi che, con approcci e linguaggi diversi, tracciano lo scenario in cui si colloca AFD. Tea Taramino propone una riflessione a partire dal personale percorso operativo che intesse arte, educazione e socialità. In una prospettiva “ibrida”, il suo saggio ripercorre lo storico intreccio e rimando tra agio e disagio, identità singolare e plurale che si è venuto a creare attorno e a seguito della nascita delle collezioni di Art Brut. Erika Cristina ci introduce a una prima sistematizzazione dei dati relativi alla produzione artistica di tipo relazionale/partecipativo che ha avuto luogo a Torino negli ultimi venti anni. Il saggio delinea le motivazioni e le dinamiche che caratterizzano le varie iniziative ed evidenzia la centralità dell’esperienza progettuale formativa finalizzata a valorizzare la creatività, a condividere la produzione di opere d’arte pubblica e a scegliere diverse tipologie di attori e destinatari. Beatrice Zanelli, infine, adotta il duplice sguardo della storica dell’arte e della curatrice in un contributo che mette a fuoco le problematiche che il giovane curatore incontra sia nel periodo della formazione sia nello svolgimento dell’attività. Situandola nel contesto contemporaneo torinese, la pratica curatoriale viene esemplificata con la discussione dell’intervento con cui l’associazione Arteco ha preso parte al progetto AFD.

La terza parte – “Educazione e valutazione”, a cura di Valentina Porcellana – è dedicata alla valutazione di alcuni aspetti inerenti l’educazione alla differenza. Il saggio di Valentina Porcellana restituisce il percorso di valutazione interno con una particolare enfasi sui processi relazionali e su ciò che può essere definito il benessere dei partecipanti e il clima di lavoro, elementi ritenuti imprescindibili per consentire l’empowerment di tutti i soggetti coinvolti. Il progetto AFD ha saputo lasciare numerose tracce di sé e dei suoi protagonisti: dai rapporti interni al gruppo di progetto ai diari di bordo delle educatrici, dalle mostre al catalogo, dal blog al presente volume scientifico, dal convegno finale ai suoi atti, fino ad una dissertazione di laurea. Proprio alla scrittura è dedicato il saggio di Lucia Portis che si concentra su quel particolare strumento di lavoro degli operatori sociali che è il diario di bordo. C’è poi un altro tipo di scrittura, quella meno formale che serve a passare comunicazioni o a riflettere sulle esperienze vissute. Le due tipologie di scrittura spesso riguardano le stesse realtà, ma utilizzano linguaggi diversi. All’interno dei testi scritti dalle educatrici coinvolte nel progetto (diari di bordo, post di blog, e-mail) sono state individuate e analizzate le unità di senso (o salienze) più rilevanti e ricorrenti. Il terzo saggio presentato nella sezione è firmato da Barbara Bruschi, che discute dell’effettiva libertà e democraticità nell’uso di internet, dei blog e dei social network, strumenti utilizzati anche all’interno del progetto AFD.

Nel volume si trovano inoltre tre “soglie” che mettono in relazione tra loro le parti e indagano il percorso creativo relazionale che ha contraddistinto AFD. I contributi soglia sono stati voluti e pensati come attraversamenti, transiti nei margini delle discipline che “incorniciano” la produzione dei saggi (antropologia fisica, storia, storia dell’arte, antropologia culturale, psicologia, pedagogia, museologia). Il saggio di Anna Maria Pecci, che si colloca tra la I e la II parte del volume, riconosce nella pluralità delle appropriazioni messe in atto dai diversi partecipanti a AFD un metodo creativo e trasformativo in cui arte e antropologia si innestano in una prospettiva di empowerment culturale e di agency generativa di responsabilità, decentramento, inversioni o moltiplicazioni di ruolo, co-autorialità. Il Museo di Antropologia, facilitatore di tali esperienze per il suo potenziale riflessivo e la capacità di inscrivere la mediazione del patrimonio nei dilemmi del contemporaneo, si rivela, dal canto suo, affine al fenomeno dell’arte pubblica. La soglia di Sabina Giorgi, situata tra la II e la III parte del volume, traccia il passaggio dall’Art Brut delle collezioni del Museo all’arte relazionale di AFD. L’autrice ha scelto di studiare contestualmente la relazione tra disagio e differenza – con un evidente richiamo alle tematiche affrontate nella I parte – attraverso l’incontro con gli artisti outsider. Lo spostamento dalla categoria dell’Art Brut alla dimensione dell’arte partecipativa getta luce sugli autori e sulle loro intenzioni creative. La soglia di Simona Bodo e Silvia Mascheroni costituisce il transito verso l’esterno, l’ideale apertura e ricerca di dialogo del progetto e del volume con la comunità di pratiche che, in contesti diversi rispetto a quello torinese, è impegnata sul fronte della valorizzazione dei patrimoni in chiave interculturale, inclusiva, interdisciplinare. Il progetto “TAM  TAM – Tutti Al Museo” è un’esperienza che – attraverso le testimonianze delle mediatrici e dei mediatori coinvolti e di alcuni partecipanti alla sperimentazione di percorsi narrati – ci fa transitare dallo straniamento alla risonanza in un processo dialogico che mette in relazione storie di collezioni e biografie di persone, oggetti di museo e oggetti di affezione. Un contributo che mette in prospettiva la portata politica di AFD, interrogandone la capacità di tradurre in strategie istituzionali strutturali, sostenibili e di lungo termine le sue sperimentali valenze interculturali.

Scheda del volume a cura di Anna Maria Pecci