Immigrati e tempo libero. Formazione e comunicazione interculturale a cielo aperto

M. Giusti | 2008

Il libro riporta le fasi e i risultati di una ricerca qualitativa (che ha utilizzato lo strumento dell’intervista in profondità), condotta di recente nel nord Italia con la partecipazione e il coinvolgimento di persone immigrate da tanti anni (dall’America meridionale e dalle Filippine), che vivono ormai stabilmente in Italia con i figli e i parenti, e di donne immigrate nel nostro Paese da poco tempo o pochi anni (provenienti dai Paesi dell’Europa dell’Est). Sia per gli uni che per le altre i luoghi della città, attraversati e osservati, rappresentano il vissuto principale con il quale relazionarsi. Il tessuto urbano insegna, interroga, accoglie, invia messaggi muti fatti di forme, suoni, possibilità da investigare, ritrovare, far proprie, trattenere in sé e far crescere. Il tempo libero dal lavoro, trascorso negli spazi aperti delle città, nelle piazze storiche, nei luoghi della memoria civile e religiosa, offre occasioni per la costruzione di atteggiamenti nuovi e per l’apprendimento di comportamenti interculturali. I parchi (urbani ed extraurbani) sembrano riunire le classi sociali, sono luoghi di coesistenza, offrono la possibilità di osservarsi da vicino con modalità osservative reciproche, bidirezionali, senza schermi né intermediazioni. Chi si sposta nei paesaggi pubblici anche solo per un giorno alla settimana sperimenta nuove forme di mediazione, di percezione, di visione. Si produce uno scambio costante fra esperienza propria e esperienza altrui.
In innumerevoli luoghi d’Italia, da pochi anni le località all’aperto del tempo libero sono diventate visibilmente meticcie. Le spiagge attrezzate e libere, certe zone di collina esclusive, vasti tratti di campagna, le località di montagna, le città d’arte, i parchi, i luoghi della fede, i giardini pubblici urbani sono spazi dove la convivenza interculturale legata al tempo libero e al turismo giornaliero è divenuta un dato di fatto.
In alcune località sono in atto iniziative organizzate da enti locali o da privati finalizzate a rendere fruibile anche a chi arriva da altrove il patrimonio architettonico e paesaggistico. I paesaggi, gli spazi fisici, le strade, i porti, i tessuti urbani ed extraurbani rappresentano i primi luoghi dell’intercultura, dello scambio, della conoscenza fra persone di diverse provenienze. I primi gesti di comprensione interculturale sono gesti di riconoscimento che avvengono non in astratto, ma sui territori, in spazi fisici, in luoghi aperti, oltre che nelle aule scolastiche. Tutto questo non è mai immediato, né facile. La pedagogia interculturale opera affinché autoctoni e alloctoni possano imparare a ri-conoscersi come persone e, da questo primo passo, possano dialogare, comprendersi. Non solo a scuola o nelle situazioni informali dell’extrascuola, ma anche nel sociale, accogliere gli stranieri non è un fatto spontaneo, né istintivo. Le pratiche dell’accoglienza riguardano atteggiamenti che si possono insegnare e imparare. La ricerca e la pratica pedagogica hanno mostrato, per esempio, che l’approccio autobiografico è importante nella formazione del pensiero interculturale di insegnanti, educatori, operatori sociali, in quanto porta a riflettere sui concetti di corresponsabilità e di riconoscimento reciproco, necessari a scuola e fuori (1).
La bellezza, la particolarità dei territori italiani, delle grandi città e dei piccoli centri, sono tratti peculiari che entrano, insieme a molte altri componenti, nell’identità di chi vi abita da sempre, ma chi arriva da lontano ha bisogno di imparare il paesaggio, il territorio, le sue storie. Un esempio da seguire sono i semplici, didascalici, ben visibili pannelli esplicativi collocati nel centro di Sesto San Giovanni (periferia nord di Milano). Sesto, la “città delle fabbriche”, è stata un punto di riferimento per i lavoratori italiani per alcuni decenni: ora questi tratti essenziali della sua storia, patrimonio identitario del territorio e di chi lo abita, vengono conservati e tramandati, e li troviamo, scritti e leggibili sui pannelli, per qualunque visitatore occasionale e per qualunque nuovo abitante, italiano o straniero.
Non è scontato che l’identità di un territorio venga compresa  e vissuta allo stesso modo da parte di chi arriva da altrove. Occorre un avvicinamento progressivo, che avviene nel corso del tempo, come forma di apprendimento intenzionale. L’affetto per un luogo, il rispetto per una piazza, per un borgo antico, per il poco o tanto che una città conserva in sé del passato e può continuare a dare nel presente, sono tutti tratti che entrano nell’identità dei piccoli come dei grandi. I simboli dei territori che abitiamo, dei paesaggi dove trascorriamo il tempo libero, creano omogeneità fra soggetti e mondo,  nel senso che sono qualcosa di più di semplici segni, sono carichi di storia, dinamismo, affettività, interpretazione. I simboli di un territorio chiamano in causa la memoria, l’attualità, la scansione del tempo delle persone, fanno parte delle loro strutture mentali, affettive, motorie. Cambia la percezione che le persone hanno di un luogo, a seconda del punto di vista e del modello estetico da cui si osserva.
Dalla ricerca presentata nel testo si ricavano frequenti e interessanti riferimenti alle aree verdi delle città, i luoghi dove si radunano e sostano moltissime donne e ragazze straniere, in gruppi più o meno numerosi, nei quali sono parlate le lingue slave le più diverse. A buon diritto le aree verdi si possono definire etnorami, paesaggi che mostrano un ordine complesso, sovrapposto e disgiuntivo che non può più essere compreso entro i termini dei modelli esistenti centro-periferia, nemmeno di quei modelli che potrebbero prendere in considerazione molteplici centri e molteplici periferie. Le zone verdi urbane ed extraurbane sono panorami di persone che rappresentano il mondo mutevole in cui viviamo. Vi convivono abitanti locali, turisti di lungo percorso, frequentatori abituali, immigrati pendolari per lavoro, esiliati, famiglie e persone in gita per un giorno, lavoratori ospiti che fanno la stagione (cameriere, cuochi, pizzaioli, pulitori, giardinieri…) e poi tornano al loro paese (in altre regioni d’Italia o altrove), innumerevoli gruppi e individui in movimento.
Gli spazi dedicati al tempo libero sono di transito e forse anche di progressivo insediamento dei nuovi arrivati; rappresentano bene la complessità, la ricchezza, le contraddizioni di una società (quella italiana) che sempre più si è venuta definendo come multiculturale. I luoghi aperti del tempo libero sono inevitabilmente anche spazi per la formazione, per lo scambio attivo di comunicazione, per la rappresentazione della propria identità e per l’osservazione di quelle altrui. Il turismo, anche quello breve, giornaliero, fornisce modalità per sperimentare nuovi stili di vita e forme di consumo.

Note
(1) Rimando al cap. 6 di M. Giusti, Pedagogia interculturale. Teoria, metodologia, laboratori, Laterza, Roma-Bari, 2007, dove ho trattato questi temi.


Scheda del volume a cura di Mariangela Giusti