La tesi nasce dalla riflessione sulla definizione di museo data dall’ICOM (International Council of Museums), che recita: «il museo è un’istituzione permanente al servizio della società e del suo sviluppo». E questi due termini sono i protagonisti della ricerca: società e sviluppo all’interno della materia museale. L’interesse per il contributo dato dai musei alla formazione, al consolidamento e alla trasmissione dell’identità di un gruppo sociale è la motivazione che spinge a studiare un modello museale utilizzato in Europa, l’ecomuseo, per adattarlo a quelle aree in cui lo sviluppo territoriale è una priorità.
Il cuore della tesi sta dunque nell’idea che il modello ecomuseale – nelle parole di George Henri Rivière, un ecomuseo è una sorta di specchio che la comunità porge ai suoi ospiti – sia un buono strumento per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale dei Paesi in via di sviluppo, e in particolare delle aree africane visitate dall’autrice: Senegal e Mali.
La Nouvelle Muséologie, corrente di pensiero nata in Francia nel secolo scorso tra la fine degli anni sessanta e l’inizio del decennio successivo, ha avuto un ruolo fondamentale nel delineare il ruolo sociale del museo e nell’elaborare il concetto di ecomuseo. Sono principalmente due le personalità che giocano un ruolo importante nella storia di questa idea museale: George H. Rivière, che nei primi del Novecento fu direttore del Musèe de l’Homme di Parigi e poi presidente dell’ICOM, portando una grande spinta innovatrice, e il suo successore Hugues de Varine, che coniò il termine nel 1971 come concetto in evoluzione continua. L’ideale perseguito era quello di musei che si occupassero, con un approccio interdisciplinare alla realtà, di un dato territorio nel tempo e nello spazio, visualizzando in una prospettiva storica l’ambiente, sia naturale che culturale, di una regione geograficamente delimitata.
Più che gli oggetti materiali, è la memoria immateriale a giocare un ruolo centrale nell’ecomuseo: un’istituzione che ha come principali interlocutori gli abitanti del territorio (trasformati da visitatori passivi in fruitori attivi), e che quindi si costruisce e si utilizza in stretta relazione con la comunità locale, pur rivolgendosi anche a un pubblico esterno.
Oggi il dibattito internazionale nell’ambito dei musei africani è vivace e va verso il superamento del concetto tradizionale di “museo” nella ridefinizione del rapporto delle collettività con la propria eredità culturale. Nel 1985 il WAMP (West African Museums Program) organizzò a Lomé, in Togo, un convegno sui musei locali dell’Africa Occidentale, e molti professionisti furono invitati a discutere e a formulare proposte. Quello che emerse, soprattutto dall’intervento di Alpha Oumar Konaré (Presidente del Mali dal 1992 al 2002), era che i musei sembravano aver perso ogni contatto con la cultura viva, con la vita quotidiana della gente. Sempre Konaré scrive: «il museo oggi non è più semplicemente il solo e unico luogo dove si conservano gli oggetti etnografici, né un museo del folklore o solo un’esposizione di oggetti artigianali. L’uomo nel suo ambiente sociale e naturale deve costituirne il centro. Questa concezione fa evolvere il museo etnografico verso nuove forme di museo: il museo-territorio, l’ecomuseo ecc.».
Quanti degli spazi espositivi esistenti vengono effettivamente visitati dalla popolazione locale? Quanti rispondono esclusivamente alla domanda turistica? Queste sono state le questioni affrontate durante la ricerca, iniziata con la non facile raccolta di informazioni riguardanti esperienze di ecomusei in territorio africano: poche le segnalazioni, forse anche perché diversi progetti con finalità e metodologie simili a quelle ecomuseali non hanno adottato questa definizione. La preziosa opportunità di svolgere la ricerca sul campo grazie a una borsa di studio dell’università ha permesso il contatto diretto con diverse esperienze. Tra le possibili forme di risposta alla necessità di intessere un rapporto più attivo con le comunità locali, l’idea ecomuseale si pone come un modello illuminato. Rispetto ai musei “tradizionali”, ha un diverso impatto a livello sociale, e dimostra un carattere di dinamicità che ben si addice alle aree africane, in cui gli allestimenti appaiono immobili e legati a un passato di imposizioni coloniali. Paradossalmente, lo studio e la visita degli ecomusei europei ci permette di comprendere solo in parte le potenzialità di questa corrente di pensiero, mentre una attenta analisi della trasformazione che questo modello ha subito nei territori in cui è particolarmente forte la necessità di sviluppo ne offre una visione più completa e approfondita.
Nella realtà africana gli ecomusei diventano progetti di sviluppo, integrazione e conservazione in cui la comunità (termine suscettibile di molte definizioni, che in questo caso indica chi fa parte di un determinato contesto sociale, territorio, tessuto culturale, area geografica) trova un ruolo davvero centrale.