Patrimoni culturali ed educazione permanente: percorsi in partenariato tra museo e CTP

Patrizia Trebini
CTP "Braccini" | Torino
2007

Museo Egizio per gli stranieri

D. Facendo riferimento alla Sua professione di docente e di educatrice, quali sono state le motivazioni che l’hanno spinta a intraprendere le esperienze con i suoi allievi nell’ambito dell’educazione al patrimonio in chiave interculturale?

La nostra scuola per stranieri adulti, oggi CTP “Braccini” (Torino), si è rivelata fin dalla nascita un’oasi privilegiata rispetto ad altre: utenza mediamente giovane, ben scolarizzata nel Paese d’origine, sufficientemente garantita dal punto di vista economico e lavorativo, discretamente inserita nel tessuto sociale cittadino, motivata all’apprendimento. Ancora oggi la maggior parte dei docenti proviene dai Corsi 150ore e ha alle spalle anni di esperienza nell’insegnamento agli adulti; inoltre  la decisione di insegnare nei Corsi per stranieri è stata una scelta supportata da specifica formazione.
Le attività di intercultura hanno sempre avuto un grosso peso all’interno della didattica: gli stranieri ci chiedevano e continuano a chiederci di “imparare”, oltre alla Lingua italiana, ad interagire con l’ambiente e con le persone italiane o di altre etnie, di cui non conoscono la cultura, la storia, le tradizioni, le abitudini familiari e sociali. Il discorso “intercultura” nasce dalla necessità di acquisire gli strumenti per integrarsi e diventa spesso un elemento importante di rilettura e/o riscoperta delle culture proprie.
L’interesse per il patrimonio è sempre stato forte, sia per la curiosità degli allievi e il loro desiderio di approfondire, sia perché i docenti si sono continuamente prestati a mettere in atto le strategie più adeguate a soddisfare i loro bisogni.
I rapporti con i patrimoni museali, tuttavia, non sempre hanno rappresentato il punto di forza del nostro lavoro. Col tempo mi sono resa conto che la visita sporadica al museo, anche se sollecitata dall’utenza e pertinente all’argomento trattato in classe, era poco significativa e non sempre soddisfacente per gli studenti: troppo difficile il linguaggio delle guide, troppo poco il tempo per potersi soffermare su ciò che maggiormente interessava o per chiedere ulteriori informazioni, troppe cose da vedere, troppo caro per alcuni il costo del biglietto se desideravano tornare da soli al museo.
Quando Vincenzo Simone, Dirigente del Settore Educazione al Patrimonio Culturale della Città di Torino, ha dato vita al progetto “Un patrimonio di tutti”, offrendo ai CTP e agli stranieri in generale l’opportunità di fruire della collaborazione di alcuni musei cittadini, ho immediatamente pensato che questa fosse l’occasione per intraprendere seriamente e proficuamente un percorso che fino a quel momento si era presentato frammentario e lacunoso, e che, nonostante i molti risultati positivi, aveva lasciato in sospeso parecchie aspettative.


D. Quali sono stati gli esiti positivi, sia per quanto riguarda gli apprendimenti disciplinari più specifici (le conoscenze di carattere storico e storico-artistico, le competenze linguistiche…), sia quelli comportamentali (la capacità di relazionarsi e di interagire, l’assunzione di responsabilità, il senso civico, l’attenzione al patrimonio…)?

Per soddisfare la domanda dei miei studenti avevo iniziato nel novembre 2005 un lavoro piuttosto articolato sull’ambiente e sulla casa. La scelta di lavorare con il Museo di Arti Decorative Fondazione Accorsi per due anni sul progetto “Oggetti, frammenti di cultura” non è stata quindi casuale. Questo museo, non particolarmente noto e sicuramente elitario, è uno spaccato domestico della cultura cittadina legata al Barocco presente nei palazzi del centro storico e al gusto estetico un po’ “rétro” della borghesia torinese. È un museo che può essere letto a diversi livelli, come abbiamo potuto constatare, e in cui si incontrano oggetti e suppellettili ancora presenti nelle nostre case o in quelle dei nonni, nei negozi degli antiquari come sui banchi dei mercatini. Le visite sono state precedute da lezioni in classe tenute dalle insegnanti con l’appoggio di Silvia Varetto, responsabile dei servizi educativi del Museo, e di un collega esterno, docente di Storia dell’Arte. Ciò ha permesso di introdurre i linguaggi specifici e la conoscenza dell’arte italiana, in particolare quella legata alla nascita e allo sviluppo delle città. Lo spazio abitativo e la sua evoluzione nel tempo, in Italia e nei diversi Paesi, è stato poi l’argomento sul quale abbiamo scelto di concentrarci. L’attività, così ampliata e incanalata su temi specifici, è stata accolta con entusiasmo e senza forzature, ed è diventata l’asse portante del percorso scolastico. In breve tempo gli allievi sono stati in grado di padroneggiare il lessico e le conoscenze acquisite, dimostrando maggiore sicurezza e puntualità nell’esposizione orale e scritta. I confronti fra le culture, la nostra e le loro, sono stati continui e ricchi di spunti per sviluppare nuovi temi: descrivere le proprie emozioni nel ritrovare al museo un oggetto familiare; dare un’“anima” alle cose e farle “parlare” liberando la fantasia e inventandosi le loro storie; rendersi conto che ciò che è vecchio non sempre è da buttare, fa parte del nostro vissuto e può diventare testimonianza e patrimonio per le generazioni future; sentire che il nuovo tessuto sociale e culturale in cui si vive non è poi così lontano dai Paesi d’origine, e lo si deve conoscere meglio per apprezzarlo e potersene appropriare; mettersi in gioco nelle attività di laboratorio sperimentando la manualità e liberando la creatività, scoprendo con stupore e piacere di possedere  doti “artistiche” sopite o potenziali; riferire e confrontare senza timore né pudori i sentimenti suscitati da un’opera d’arte o da un bell’oggetto; rilevare come il patrimonio artistico e ambientale siano complementari e si valorizzino a vicenda: quindi è fondamentale insegnare il rispetto per la natura e l’ambiente.
La sperimentazione attuata col Museo Egizio nell’ambito del progetto “L’Egizio per gli stranieri” ha permesso di introdurre e approfondire un argomento che altrimenti non avremmo sicuramente affrontato: l’antica civiltà egizia e alcune sue peculiarità. Il lavoro è stato un banco di prova molto impegnativo per gli allievi, che hanno dovuto trovare il tempo per studiare, visitare il Museo, produrre materiali cartacei e audiovisivi, parlare in pubblico di temi così complessi in una lingua straniera, cercando di dominare l’emotività e di vincere le proprie insicurezze. Il gruppo guida che ha seguito tutto il percorso previsto ha dimostrato quanto questa esperienza, seppur faticosa, sia stata utile per rafforzare la padronanza della Lingua italiana, per acquisire e/o consolidare conoscenze, ripercorrere il passato dei propri Paesi e, per alcuni, scoprirne aspetti mai studiati prima. I continui confronti e i dibattiti, gli scambi di opinioni ed esperienze hanno favorito più che mai la socializzazione e la collaborazione fra i partecipanti.
Per entrambi i progetti sono state scattate centinaia di fotografie che poi abbiamo analizzato, scelto e allegato al prodotto finale. Gli allievi hanno voluto introdurre l’uso della macchina digitale e dei mezzi informatici per dare ai loro lavori una veste finale più moderna, piacevole e “professionale”.


D. Quali sono gli elementi di criticità e di forza che ha rilevato in queste proposte educative? Quali correttivi si sente di suggerire?

I progetti sono stati entrambi faticosi da preparare e da seguire: si sono dovute impostare in modo completamente diverso le attività previste in un corso per stranieri, producendo schede e unità didattiche specifiche che spesso, in corso d’opera, sono state modificate o sostituite. In particolare “L’Egizio per gli stranieri” ha richiesto molto tempo per selezionare gli studenti che avrebbero potuto accedere al progetto, vista la difficoltà dell’argomento; parecchi allievi hanno abbandonato perché non si sentivano sicuri o non potevano per motivi familiari o di lavoro affrontare un percorso così impegnativo. Nei CTP non è semplice organizzare lavori di questa portata, poiché l’utenza non sempre possiede, in quel momento, le adeguate competenze linguistiche, non è stabile come nella scuola dell’obbligo e i tempi sono sicuramente più stretti. Il punto di forza di tali proposte educative sta nel verificare come gli adulti, esposti ad attività di questo tipo, oltre a recuperare l’abitudine e il piacere allo studio, acquisiscano in tempi relativamente brevi una conoscenza della lingua più ampia e una padronanza espressiva più sicura e corretta. I coinvolgimenti emotivi sono spesso molto forti e la scuola diventa un luogo da cui è difficile staccarsi; l’insegnante, oltre che punto di riferimento come educatore, è l’amico complice col quale condividere le proprie storie, i problemi, le aspettative future. L’ideale sarebbe poter avere a disposizione più ore di lezione da dedicare a simili proposte ed essere in compresenza con altri colleghi o con collaboratori esterni esperti, soprattutto nei momenti di dibattito, durante i lavori di gruppo e di assemblaggio dei materiali prodotti. L’insegnante e l’istituzione partner devono essere elastici,  tenere conto delle critiche e dei suggerimenti degli allievi, non aver timore di apportare modifiche al progetto in corso d’opera.
Ritengo che la possibilità di avere il supporto di un museo e di personale qualificato e disponibile sia fondamentale se si vuole impostare un’attività didattica come quella da me sperimentata. Nel mio caso sono stata molto fortunata, poiché in entrambi i musei abbiamo avuto accesso alle collezioni e ai laboratori ogni qualvolta ne sentivamo la necessità; abbiamo avuto il permesso di fotografare tutto ciò che ci sembrava utile e significativo; abbiamo visto e rivisto le immagini in classe, ne abbiamo discusso, le abbiamo catalogate, scelte, riordinate, tagliate, assemblate e ce ne siamo serviti  per ottimizzare il nostro lavoro. I tutor che la Fondazione Accorsi e il Museo Egizio ci hanno messo a disposizione si sono dimostrati preparati, sensibili e simpatici, attenti ai bisogni e ai limiti dell’utenza; basilare il rapporto di fiducia e di dialogo con gli allievi e di collaborazione con gli insegnanti che si è instaurato fin dai primi incontri.

D. Ci può segnalare momenti ed esperienze significative vissute con gli allievi?

I momenti più accattivanti sono legati ai laboratori e alla ricerca delle testimonianze. Durante i laboratori mi sono cimentata anch’io e, vista la mia scarsa manualità, gli allievi, soprattutto i più giovani, si sono offerti di aiutarmi consigliandomi sulle tecniche, sull’uso degli strumenti, sulla scelta dei soggetti. Sono stati severi nel giudicare il mio operato ma capaci di infondermi fiducia e stimolare la mia creatività, abili nel correggere i miei errori. Mi sono stati vicini con tutte le attenzioni degne del miglior insegnante.
Siamo andati ai mercatini per cercare sulle bancarelle qualche “pezzo” che assomigliasse agli oggetti che più ci erano piaciuti. Eravamo emozionati come in una caccia al tesoro mentre mettevamo alla prova il nostro nuovo bagaglio di competenze, discutendo e contrattando con i commercianti.
Durante il percorso “L’Egizio per gli Stranieri” i momenti più significativi sono stati quelli in cui gli studenti hanno coinvolto gli anziani della loro famiglia o della loro comunità per trovare oggetti e farsi raccontare la storia, la cultura, la vita e le tradizioni dei propri Paesi di origine. Questa via per reperire materiali è stata un’iniziativa degli stessi studenti e ha prodotto una quantità di testimonianze raccontate, mostrate e descritte con partecipazione emotiva e orgoglio. Per alcuni è stato liberatorio poter finalmente parlare di un passato che per anni la censura dei regimi aveva occultato.


D. Quale, se c’è stato, il valore aggiunto alla Sua formazione professionale?

Per ottenere buoni risultati, stima e collaborazione bisogna lavorare molto, non aver timore di rompere gli schemi dell’insegnamento tradizionale, dare spazio agli altri, confrontarsi continuamente e avere l’umiltà di dire ai propri allievi: “sto imparando con voi, potrei sbagliare, siate attivi e critici, aiutatemi con la vostra esperienza affinché possiamo sfruttare al meglio le opportunità che ci vengono offerte”. Per me, insegnante di Lingua francese, calarmi in questi panni è stata una sfida che ho vissuto spesso con apprensione e tensione per la paura di non essere all’altezza, di non dare abbastanza e nel modo giusto. L’aver seguito con i miei studenti questo percorso formativo ha arricchito quello che io chiamo il mio “patrimonio interiore”; mi ha resa più forte e maggiormente esigente con me stessa, ma più sensibile e partecipe nel valutare le difficoltà, i limiti e i problemi degli altri; più attenta nel cercare, riconoscere e valorizzare le potenzialità che ognuno possiede.

Patrizia Trebini è nata a Torino, città in cui risiede e lavora, il 9 luglio 1947. Ha conseguito la laurea in Lingue e letterature straniere moderne presso l'Università Bocconi di Milano. Nel 1973 ha scelto di dedicarsi all'insegnamento nei Corsi sperimentali per lavoratori 150 ore, e dall'anno scolastico 1990-91 lavora nei Corsi di Lingua e cultura italiana per adulti stranieri, in seguito istituzionalizzati come CTP. Ha partecipato come docente al percorso di cittadinanza "Conoscere la propria città", promosso dal Centro Interculturale della Città di Torino a favore dei residenti stranieri futuri mediatori culturali. Nel 2006-2007 ha collaborato al programma "Un patrimonio di tutti" (promosso dal Settore Educazione al Patrimonio Culturale della Città di Torino) sia come docente del CTP Braccini, sperimentando nuove dinamiche interculturali nell'ambito dei progetti "Oggetti, frammenti di cultura" e "L'Egizio per gli stranieri", sia come "tutor" dei rappresentanti della comunità peruviana, seguendoli nelle attività legate al percorso "Ti presento il mio Museo". La sua passione sono i lunghi viaggi "fai da te", in Italia e all'estero, che considera da sempre come i migliori corsi di formazione e aggiornamento per il proprio lavoro