Da dove ha avuto origine – le azioni pregresse
Il progetto nasce da un’idea del CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati (un’organizzazione umanitaria indipendente costituita nel 1990 su iniziativa delle Nazioni Unite con l’obiettivo di difendere i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo), realizzata grazie al Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) 2014-2020.
Dal momento della sua fondazione il CIR ha lavorato a numerosi progetti finalizzati a favorire l’accesso alla protezione, l’accoglienza, l’integrazione, la fruizione dei diritti, il sostegno sociale e psicologico, e il ritorno volontario. “La Bellezza dell’Integrazione” si sviluppa a partire da una serie di riflessioni condivise con un gruppo eterogeneo di attori sull’uso del patrimonio culturale quale elemento dinamico, che si rigenera costantemente attraverso le interazioni dei nuovi cittadini con l’ambiente di vita e la società, e diventa base su cui costruire e veicolare identità e valori condivisi.
Traendo ispirazione dalla “Convenzione sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali” (Unesco 2005), il progetto punta a una valorizzazione della diversità culturale e identitaria, che si nutre della libertà di espressione, di informazione e di comunicazione, in una visione paritaria e rispettosa di tutte le culture. La partecipazione alla vita culturale della comunità, riconosciuta come diritto fondamentale nell’art. 27 della “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” (Assemblea Generale delle Nazioni Unite 1948), nel caso dei rifugiati diventa anche un modo per connettersi con il contesto di accoglienza, elaborare esperienze dolorose di distacco e di perdita, o raccontare, valorizzandolo, il proprio bagaglio identitario, recuperando le trame di vita interrotte traumaticamente dall’esilio.
“La Bellezza dell’Integrazione” si inserisce pienamente in tale solco, con una visione del percorso di integrazione come processo dinamico che pone in una relazione bidirezionale e trasformativa la società di accoglienza e i suoi nuovi cittadini, che non può prescindere dalla valorizzazione delle identità culturali di quanti chiedono protezione nel nostro Paese, e che riconosce nella cultura un elemento fondante del percorso di integrazione, anche in termini di opportunità di inserimento lavorativo.
Gli attori coinvolti – la rete di progetto
- Ente promotore del progetto: CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati
- Istituzioni partner: Società cooperativa Coopacai Phoenix, Roma Capitale – Dipartimento Turismo, Formazione Professionale e Lavoro Direzione Formazione Professionale e Lavoro (Roma); Associazione Franco Verga C.O.I (Milano); Isola Quassùd (Catania); Teatro Pubblico Pugliese Consorzio Regione per le arti e la cultura (Bari).
Sono stati inoltre parte attiva del progetto le seguenti istituzioni culturali: MuCiv – Museo delle Civiltà di Roma; Sistema bibliotecario del Comune di Catania; Museo del Novecento di Milano; Museo della Valle dell’Aniene di Roviano; Museo Castromediano di Lecce.
Al progetto ha collaborato anche l’Associazione Amici del FAI.
Un ruolo importante è stato infine svolto dagli Istituti scolastici e dai Centri di accoglienza operanti sui territori, e dalla Cooperativa di guide professioniste “Guiding Sicily”.
Gli operatori – l’equipe di progetto
L’equipe che ha contributo alla realizzazione del progetto è stata formata da mediatori/mediatrici linguistico-culturali, docenti in ambito museale e in storia dell’arte, educatori/educatrici, operatori/operatrici sociali, guide turistiche, formatori/formatrici, artisti/artiste, social media manager.
I destinatari
Il progetto si è rivolto a circa 104 persone titolari di protezione internazionale (bambini e bambine, ragazzi e ragazze e soprattutto adulti), usciti da non più di 18 mesi dai Centri di accoglienza e provenienti dai seguenti Paesi: Nigeria, Siria, Camerun, Iran, Somalia, Venezuela, Costa d’Avorio, Egitto, Mali, Repubblica Democratica del Congo, Senegal, Eritrea, Etiopia, Iraq, Pakistan, Sudan, Armenia, Burkina Faso, Repubblica Centroafricana, El Salvador, Gambia, Libia, Marocco, Niger, Perù, Turchia.
Gli obiettivi
Il progetto si è proposto di promuovere l’inserimento socioculturale dei titolari di protezione internazionale (TPI) attraverso pratiche e attività culturali partecipative che potessero al contempo rilanciare nuove occasioni di inclusione lavorativa. La sperimentazione di servizi e opportunità per la crescita lavorativa, culturale e sociale dei partecipanti è avvenuta anche attraverso lo sviluppo di nuove narrazioni e di attività di mediazione che li hanno resi protagonisti della “produzione” di nuova cultura. Infine, il progetto ha mirato a incrementare l’accesso e la partecipazione dei TPI alla vita culturale e sociale delle comunità di accoglienza, promuovendo momenti d’incontro, fruizione e comprensione degli spazi culturali pubblici e del patrimonio immateriale.
Da quando, per quanto
Il progetto si è sviluppato da maggio 2020 a giugno 2022, costringendo il gruppo di lavoro a ripensare e riadattare continuamente le attività in base all’andamento della pandemia.
La formazione
“La Bellezza dell’Integrazione” ha previsto una lunga fase preliminare di formazione, scambio di idee e pre-progettazione che ha coinvolto tutti i partner di progetto. Data anche la loro differente provenienza geografica, gli incontri si sono tenuti online e hanno riguardato in primis la condivisione della proposta progettuale del CIR, quindi la presentazione e la conoscenza di tutte le differenti realtà sociali e culturali coinvolte, e infine la condivisione di una serie di linee guida utili a orientare le attività su ogni singolo territorio.
Il CIR si è inoltre occupato di presentare le caratteristiche legislative e normative della tipologia di destinatari richiesti dal bando.
Come si articola – le fasi di lavoro
Il progetto ha previsto la realizzazione di attività di carattere laboratoriale e formativo rivolte ai destinatari.
I laboratori realizzati a Roma, in collaborazione con il Museo delle Civiltà – Museo delle arti e tradizioni popolari, si sono articolati come segue:
- nel laboratorio di narrazione per adulti, i partecipanti hanno elaborato percorsi di visita alternativi, basati sulla lettura e sull’interpretazione di alcuni oggetti esposti; il risultato finale degli incontri è stato la realizzazione di prodotti audiovisivi che sono andati a confluire nella app del Museo
- Il laboratorio “Storie di bambini al Museo” si è svolto in tre incontri (articolati in un momento conoscitivo e in uno di carattere esperienziale), al termine dei quali i bambini hanno portato con sé gli oggetti e manufatti realizzati; mentre erano impegnati nell’attività laboratoriale, i loro genitori sono stati accompagnati in visite guidata del Museo delle Civiltà.
In collaborazione con il Gruppo “la Pupazza” di Roviano (città metropolitana di Roma; la pupazza è un grande fantoccio di cartapesta, dalle fattezze femminili, protagonista di riti e feste dell’Italia Centrale) e il Museo della Valle dell’Aniene, il laboratorio “Immagina pupazza”, dedicato alle famiglie, si è svolto attraverso incontri online e giornate in presenza nel Museo, che hanno portato alla creazione di due pupazze di creta e di altri manufatti; durante gli incontri online, il gruppo ha inoltre inventato e illustrato il racconto Julieta Gigante, di cui sono state pubblicate alcune copie. Nella sua giornata finale, il laboratorio è stato aperto alla popolazione locale, che ha partecipato al corteo e alla festa in Piazza dove la pupazza principale è stata bruciata in mezzo ai canti; una seconda pupazza è conservata al Museo insieme agli altri manufatti prodotti.
A Catania abbiamo realizzato due diverse attività, che hanno coinvolto direttamente TPI e Istituti scolastici:
- 15 tavoli linguistici con il coinvolgimento del Liceo Galileo Galilei e del Convitto Cutelli, attività inserita in un percorso di alternanza scuola lavoro con il Comune di Catania
- 11 laboratori “C’era una volta in Africa”, durante i quali i rifugiati hanno raccontato alcune fiabe dei rispettivi paesi di origine ai bambini di 18 classi di primo e secondo ciclo delle elementari dell’Istituto San Francesco di Sales e dell’Istituto Comprensivo Pitagora.
Sempre a Catania, Isola Quassùd ha ideato e organizzato un laboratorio narrativo partendo dall’osservazione del patrimonio culturale diffuso della città. Il percorso è partito dall’osservazione dei quattro candelabri che si trovano in Piazza dell’Università, ognuno dei quali rappresenta una leggenda legata alla città: questo ha permesso ai TPI di collegare patrimonio materiale e immateriale, e di raccontare insieme ai partecipanti non soltanto dettagli sui monumenti e sui luoghi visitati, ma anche le storie e i personaggi a essi connessi. Per realizzare i percorsi nel centro storico della città abbiamo chiesto la collaborazione delle guide turistiche professioniste di “Guiding Sicily”.
Le attività relative alla formazione hanno invece previsto la realizzazione di tre percorsi formativi non professionalizzanti in ambito culturale:
- uno a Roma, della durata di 120 ore, in collaborazione con Coopcai Phoenix e Dipartimento per la formazione del Comune
- uno a Milano, tenuto da Fondazione Verga in collaborazione con Amici del FAI, della durata di 20 ore
- uno a Lecce in collaborazione con il TPP e il Museo Castromediano, di 120 ore; nell’ambito di questo percorso è stato anche elaborato un percorso di lettura della collezione museale che si intreccia al vissuto dei TPI. Il prodotto di questa attività è confluito nell’app “Il Museo di se stessi”, messa a disposizione dei visitatori del Museo.
A Milano, la Fondazione Verga ha anche realizzato due corsi di italiano dal titolo “Arte e Cultura in ITALIAno”, della durata di 60 ore. È stato inoltre realizzato il laboratorio “Le Voci dell’Arte” per rafforzare le competenze acquisite dai destinatari, approfondendone la conoscenza specifica relativa alla lettura e all’analisi di opere d’arte e dando loro l’opportunità di sperimentarsi nella narrazione; in questa cornice sono stati realizzati dei podcast, nei quali alcuni TPI hanno scelto un’opera per loro significativa, intrecciandone la descrizione a riferimenti personali.
In tutte le città i percorsi formativi sono stati rafforzati da esperienze di affiancamento lavorativo per la durata media di 80 ore. Tali esperienze hanno permesso ai TPI di partecipare attivamente alla vita dei musei che hanno collaborato al progetto, operando all’interno dei Servizi Educativi e prendendo parte a giornate in cui sono stati coinvolti come accompagnatori e guide in percorsi di visita strutturati.
Gli ambiti – le aree disciplinari
Arte, archeologia, antropologia culturale, museologia, italiano, storia, geografia.
Le strategie e gli strumenti
La metodologia usata è stata quanto più possibile partecipativa.
Gli argomenti trattati durante le attività sono stati scelti insieme ai partecipanti sulla base di linee guida fornite nell’incontro iniziale.
Dal punto di vista dell’approccio, è stato utilizzato il metodo umanistico comunicativo con l’utilizzo di quiz, enigmi e brainstorming, che accendono la curiosità e spingono ad allargare le conoscenze linguistiche, seguendo un percorso di comprensione graduale, prima globale e poi analitico. Spesso a partire da un preciso input, per lo più visivo, i partecipanti sono stati invitati a riflettere e a fare ipotesi, ma anche a lavorare sulle conoscenze linguistiche per sviluppare le proprie capacità comunicative necessarie a parlare di patrimonio culturale (italiano o del proprio Paese di provenienza) in lingua italiana. Queste tecniche, adatte a contesti di abilità differenziate, hanno permesso a ognuno di lavorare in modo differente su uno stesso tema, riuscendo a valorizzare le differenze presenti nei gruppi.
Alcuni percorsi, pensati per la fruizione online, hanno sfruttato le potenzialità del digitale per coinvolgere maggiormente i partecipanti, che a loro volta hanno avuto l’opportunità di prendere confidenza con le nuove tecnologie. Ciò ha permesso di coinvolgere tutti i contesti territoriali e soprattutto di condividere costantemente lo schermo (immagini, pdf, audio, video, siti internet, tour virtuali in luoghi e musei), di fare attività cooperative e collaborative orali (breakout rooms) e scritte (Padlet), e di realizzare esperienze progettuali di co-creazione. Se, come si è detto, il progetto si inserisce in una visione dell’integrazione come processo dinamico bidirezionale e trasformativo della società, la riflessione linguistica non può che investire anche il lavoro degli operatori dell’integrazione, chiamati in questo processo a ripensare le parole stesse del loro operare, nella sfida di un’integrazione capace di farsi vera interazione.
Nelle differenti attività svolte in museo, la metodologia dello storytelling è stata quella principale. Gli incontri si sono svolti in modo dialogico, ponendo non poche sfide nel ridefinire concetti fortemente ingabbiati in prospettive eurocentriche e occidentali. A titolo esemplificativo, nel percorso realizzato a Roma nel Museo delle Civiltà, i temi collegati al concetto di “oggetto di affezione” sono stati discussi e fortemente scardinati, anche alla luce di concetti religiosi. Gli incontri sono stati dunque una fucina di idee, un momento di messa in gioco del sé, di ricerca di nuovi e diversi campi di azione che hanno richiesto a ogni partecipante, indipendentemente dal ruolo nel progetto, di uscire dalla propria zona di comfort e di mettersi in ascolto dell’altro. Al fine di favorire tali processi sono state da subito stabilite le regole del “nostro stare insieme”, che hanno permesso di creare un ambiente sicuro e rispettoso dove potersi confrontare. Il percorso è stato dunque anche un modo per sperimentare i complessi processi interpretativi cui oggi i musei sono chiamati a rispondere.
Di notevole importanza, infine, lo strumento dei protocolli d’intesa che il CIR ha stretto con differenti realtà culturali e sociali dei territori coinvolti nel progetto al fine di garantire una continuità a quanto realizzato.
La produzione
Tutte le attività sviluppate hanno promosso spazi di incontro tra TPI e comunità locale, che hanno permesso di rendere visibili letture alternative del patrimonio culturale, di creare cultura “comune” attraverso un percorso di reciproca conoscenza: sono state realizzate narrazioni dei patrimoni in video, stesura di storie sotto forma di Kamishibai (una tecnica di narrazione giapponese), visite guidate al patrimonio diffuso nella città.
La documentazione
Il progetto è stato documentato in ogni sua fase, e in ogni territorio coinvolto, con foto, video e report di ogni incontro. Molti di questi materiali sono confluiti nel report finale di progetto e nel video di presentazione dello stesso.
Altre risorse consultabili
– Pagina del sito CIR dedicata al progetto: https://www.cir-onlus.org/la-bellezza-dell-integrazione/
– Video di presentazione del progetto: https://youtu.be/83nl_XudCt8
La verifica e la valutazione
Verifiche e valutazioni sono state realizzate attraverso incontri periodici con i partner di progetto per un aggiornamento costante sull’andamento delle attività e sugli ostacoli e le problematicità che via via si sono presentate. È stato realizzato un monitoraggio rispetto alle attività svolte e all’utilizzo dei fondi, presentato all’Autorità Responsabile su base trimestrale. A tutti i destinatari sono stati infine somministrati dei questionari di valutazione e gradimento dell’esperienza vissuta.
La presentazione e la pubblicizzazione
Il progetto è stato presentato pubblicamente a Roma (18 maggio 2022, Museo delle Civiltà), a Lecce (26 maggio 2022, Museo Castromediano) e a Catania (20 giugno 2022).
Le risorse finanziarie
Il progetto è stato finanziato dal Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI) 2014-2020 – Obiettivo Specifico 1. Asilo – Obiettivo nazionale 1 – Accoglienza/Asilo – lett. c) – Potenziamento del sistema di 1^ e 2^ accoglienza – Avviso Realizzazione di percorsi individuali per l’autonomia socio-economica.
I punti di forza
Aspetto centrale e di forza del progetto è stato la rete attivata, che ha garantito il coinvolgimento diretto nell’implementazione delle attività di un articolato insieme di soggetti appartenenti non solo al mondo del sociale, ma anche a quello della cultura e al settore pubblico e dei servizi. La costruzione di reti con soggetti eterogenei sia per ambito d’intervento che per caratteristiche costitutive (associazioni di tutela, istituzioni culturali, enti locali/pubblici) ha infatti permesso di dare risposte articolate e qualificate ai bisogni culturali e sociali dei destinatari. Il rafforzamento della rete è stato ulteriormente implementato sia attraverso un costante lavoro di prossimità con i Centri di accoglienza (a cui sono stati offerti alcuni dei servizi dedicati alle famiglie e opportunità di fruizione degli spazi museali, anche per TPI non coinvolti nell’intervento progettuale), sia grazie alla creazione di legami con enti non appartenenti all’universo dell’accoglienza, quali ad esempio le istituzioni culturali.
L’ambito d’intervento – l’integrazione culturale – è stato indubbiamente un altro fattore di successo, perché ha permesso ai destinatari di entrare da una parte in profondo contatto con la società di accoglienza, dall’altra di esplorare parti della propria identità personale che molto spesso non sono al centro dei percorsi d’integrazione. La lezione tratta dallo sviluppo di questo progetto è l’importanza di elaborare percorsi di integrazione che non si limitino a fornire risposte alle necessità basiche (per quanto fondamentali e ineliminabili esse siano), ma che accompagnino la persona in un percorso di conoscenza e avvicinamento culturale al Paese di accoglienza. Un processo che permette ai destinatari di esprimere parti di sé che rischiano altrimenti di rimanere inespresse, e nel contempo di sentirsi in una consonanza più profonda con la nuova realtà in cui si trovano a vivere. Le attività di carattere culturale permettono di esperire una dimensione di accettazione completa e di benessere che crediamo debba essere alla base di un positivo percorso di integrazione. Dai commenti raccolti dai destinatari sono emersi questi punti di forza:
- l’importanza di conquistarsi uno spazio di parola che non sia relegato esclusivamente all’espressione di una richiesta di aiuto
- la forza acquisita dal non vedersi schiacciati sempre e solo nella dimensione del migrante bisognoso di assistenza, ma dall’essere riconosciuti persone portatrici di valore
- il senso di riscatto dato dal prendersi il tempo per imparare
- la bellezza di potersi concedere uno spazio per sé e per il confronto con gli altri anche in ambiti normalmente non accessibili a persone con background di migrazione
Le attività di carattere laboratoriale hanno promosso l’accesso alla vita culturale e la produzione di nuove letture e interpretazioni del mondo culturale e museale. Queste attività si sono caratterizzate per un attivo e costante coinvolgimento dei titolari di protezione, grazie alla creazione di spazi in cui i contributi di tutti sono stati positivamente accolti. Questo ha permesso ai destinatari di rafforzare le proprie soft skills, con un esito positivo nei percorsi individuali d’inclusione. Le attività laboratoriali promosse sono state in prima istanza “luogo” nel quale far emergere competenze, attitudini, inclinazioni e interessi delle persone coinvolte, mettendo in luce il ruolo che l’istituzione culturale, e il museo in particolare, hanno nel favorire processi di partecipazione democratica. L’incontro con il patrimonio culturale è sempre generatore di complessità e crescita proprio grazie alle storie che racchiude. Le attività con e sulle collezioni di arti e tradizioni popolari al Museo delle Civiltà di Roma, così come con le collezioni del Museo Castromediano di Lecce e del Museo del 900 di Milano, hanno fornito numerosi spunti per riflettere sul ruolo che, dietro gli oggetti e alle opere, hanno le persone che li hanno fabbricati, usati, ideati, esposti, raccontati nel tempo, e che oggi li guardano negli spazi museali.
La promozione di spazi di incontro tra persone TPI e comunità locale ha permesso di rendere visibili letture alternative del patrimonio culturale, di creare cultura attraverso un percorso di reciproca conoscenza. Crediamo che questa dinamica sia essenziale in un processo d’integrazione bidirezionale, interpretato come trasformazione di chi è ospitato e del contesto ospitante, alla base di un concetto di accoglienza che guarda al futuro, aprendosi anche alle risorse, competenze ed esperienze dei nuovi cittadini.
Nella cornice della continua ridefinizione dialogica che ha caratterizzato le attività di progetto, il ruolo della lingua non poteva che rivelarsi centrale. Nel raccontare un percorso personale di cammino “dal buio verso la luce” evocato dalla visione di un’opera in una partecipante, il buio viene narrato come “non avere le parole”. Questa immagine ben rappresenta il valore e il significato profondo che l’apprendimento della lingua e le modalità in cui esso avviene possono rivestire. Nella costruzione dei percorsi di avvicinamento all’arte, si è partiti dal presupposto che la conoscenza e l’uso delle parole in gioco fossero essi stessi elementi costitutivi e plasmanti dell’esperienza proposta. Un’esperienza, nelle parole dei partecipanti, di riscatto e di conquista di quella parola che permette di “essere coraggiosi”, perché “saper descrivere come sono, cosa so e cosa so fare” apre uno spazio per riconoscere in sé interessi, attitudini, competenze. Se l’arte “mi fa conoscere la cultura di un luogo”, nelle parole di un altro partecipante, è perché sono in grado di leggerne i simboli: padroneggiare le parole, in tutta la loro valenza simbolica, apre alla scoperta di nuovi mondi e alla possibilità di dare voce a culture plurali. È stato di grande impatto ed efficacia proporre percorsi linguistici che accompagnino in maniera trasversale tutte le attività formative proposte, laddove la riflessione linguistica di tipo deduttivo ha prediletto l’uso attivo della lingua e delle funzioni linguistiche utilizzate nella quotidianità, con l’obiettivo primario di favorire la comunicazione, più che l’accuratezza. Il rigido pragmatismo del Quadro Comune Europeo di riferimento per le lingue e la complessità della lingua colta hanno spesso frustrato la motivazione degli studenti non italofoni ad avvicinarsi allo studio dell’italiano legato all’arte, almeno fino a quando non avessero raggiunto un livello alto (+B2) di conoscenza della lingua. La sfida è stata invece quella di permettere agli studenti di parlare di arte senza dover aspettare di raggiungere quel livello, rendendo la lingua il più possibile comprensibile senza per questo banalizzare e infantilizzare i contenuti, utilizzando i criteri della facilitazione e della semplificazione (e non sintetizzazione), che sono due delle specificità della glottodidattica. Ciò ha permesso di rivolgersi a un gruppo di persone in apprendimento di livello diverso, di provenienza geografica diversa, con L1 e background differenti, in un contesto multiculturale e multilinguistico fortemente eterogeneo che è sempre una fonte di ricchezza e condivisione, e che si arricchisce ulteriormente grazie all’arte, che è sempre capace di schiudere porte.
Infine, crediamo che un ulteriore punto di forza sia stato l’elaborazione di attività per le famiglie. Alcune attività hanno promosso momenti d’incontro strutturati che hanno avvicinato i bambini e i loro genitori alla comprensione e all’interesse verso gli spazi culturali del nostro Paese; questi laboratori sono stati indirizzati in primo luogo a famiglie in uscita dai Centri di accoglienza e hanno permesso di creare un ponte tra la realtà dei Centri e il mondo “esterno”; le attività, pensate in modalità facilitanti e inclusive, hanno inoltre rappresentato una possibilità per i nuclei di vivere una “normalità” familiare fatta non solo della routine tipica della vita nei Centri di accoglienza, ma anche di sperimentare occasioni ludiche e ricreative normalmente loro precluse (per ostacoli economici, di conoscenze e logistici).
Le criticità emerse
La prima parte del progetto è stata gravemente condizionata dalla pandemia, che ha determinato la chiusura degli spazi museali (essenziali allo sviluppo delle attività) e ostacolato lo sviluppo dei percorsi laboratoriali e di formazione. Questa difficoltà (superata grazie alle misure di flessibilità adottate dal gruppo di progetto e dalla prosecuzione del termine delle attività concessa dall’Autorità Responsabile) ha condizionato tutto il primo anno dello sviluppo delle attività, compromettendo inoltre la fidelizzazione di alcuni tra i destinatari selezionati (cui è stato impossibile dare un orizzonte temporale certo).
Tutto ciò premesso, la principale criticità ha riguardato l’individuazione dei destinatari, ed è stata causata da diversi fattori. In primo luogo, l’impossibilità di prendere in carico gli utenti su diversi progetti finanziati sotto la stessa Azione ha creato una situazione di forte criticità soprattutto in alcuni territori: abbiamo cercato di superarla rafforzando la rete sui territori per favorire la segnalazione di possibili destinatari e promuovendo costantemente le attività progettuali attraverso una capillare attività di sensibilizzazione e ufficio stampa. A questa criticità si è aggiunta l’ineleggibilità di molti aspiranti partecipanti che, candidatisi spontaneamente, non possedevano i requisiti formali previsti da bando. Infine, il peggioramento delle condizioni socioeconomiche dei destinatari a causa della pandemia ha determinando fenomeni di dispersione: con alcuni partecipanti è stato problematico mantenere una continuità di percorso nel tempo a causa della difficoltà di conciliare gli impegni lavorativi (differenti, discontinui, resi più incerti a causa del nuovo scenario socio-economico e in molti casi sopraggiunti nel corso del progetto) con percorsi di gruppo (formazione e laboratori) che, anche a causa del contesto pandemico, hanno avuto uno sviluppo temporale più esteso rispetto a quello preventivato. Questo rischio di dispersione è stato in parte contenuto dal rafforzamento della presa in carico sociale dei destinatari coinvolti, che ha permesso di attivare interventi complementari nei casi di maggiore vulnerabilità sociale.
Recapiti dell’ente promotore
CIR – Consiglio Italiano per i Rifugiati
via del Velabro, 5/a – 00186 Roma
tel. 06 69200114
www.cir-onlus.org
cir@cir-onlus.org
Referente del progetto
Valeria Carlini
Responsabile Comunicazione e Portavoce
tel. 06 69200114
carlini@cir-onlus.org
Data di pubblicazione della scheda: settembre 2023